69. Maggio: Gloria Di Bella
Il mio nome è Gloria Di Bella, sono nata a Messina il 17 Gennaio 1992.
Mi sono formata al liceo artistico E. Basile per poi imbarcarmi nell’odissea del Dams messinese.
Il mio rapporto con la fotografia ha origine nella pittura.
Mia madre riproduceva grandi opere d’autore su commissione ed io crescevo tra pennelli, colori ad olio, odore d’acquaragia e tele! Ho sempre amato comporre e riprodurre il mondo a modo mio attraverso occhi e mani come fossi un filtro, cercando di caricare me stessa dentro ogni particolare.
Anni fa mi avvicinai all’oggetto macchina fotografica.
Un mondo molto più “obiettivo” dove la firma d’autore è difficile da esaltare.
Emotivamente parlando sono un’altalena, ed ho l’esigenza di riconoscermi in ciò che faccio.
Spesso mi sento combattuta quando penso all’ansia d’originalità, alla ricerca di stile, alla ricerca di se stessi ed il proprio mezzo espressivo o a cose come la lotta eterna tra analogico e digitale.
Un giorno però, il grande regista Giuseppe Tornatore, durante un convegno universitario, disse due cose stupende; prima ci raccontò una sua esperienza di vita:
“Io ed un mio amico, da ragazzi, facevamo riprese e fotografia, provavamo di tutto.
Quando v’era un attimo importante nella scena filmata, il mio amico aveva l’stinto di fermarsi e prendere la macchina fotografica per immortalare quell’ istante; lui era un fotografo. Lo stesso accadde a me con la fotografia. Mi accorsi che un fotogramma non mi bastava per raccontare ciò che avevo dentro. Io ero un regista.” La seconda cosa invece riguardava il terrore del digitale mosso dal pubblico; così rispose:
“Non è stata certo l’invenzione della penna, né le sue innovazioni, a far diventare qualcuno un meraviglioso scrittore”. Tutto questo mi risollevò parecchio, mi fece prendere maggiore coscienza e nulla ebbe più importanza.
Così credo che non ci sia definizione più giusta per la fotografia : Punti di vista.
Il mio occhio sul mondo parla con gli altri occhi come meglio crede;
ciò che conta è la comunicazione che sia riconoscibile attraverso una “voce” e che l’arte parli come uno specchio a chi sa ascoltarla. Si dice che la vera arte sia quella in grado di farne nascere dell’altra.
La Musica, non posso non menzionarla dal momento che ha, da sempre, grande spazio nella mia vita, ed è fonte inesauribile d’ispirazione e trasporto emotivo, specie il jazz.
La mia fotografia potrebbe essere categorizzata come pittorialista ma non mi sono mai andate giù le etichette stilistiche; amo “dipingere” con la luce attraverso il movimento, l’esposizione ed i fuori fuoco tra soggetto e macchina. Amo comporre, amo la geometria, gli attimi rubati, le forme ed i volti.
Gli indiani d’America sostenevano che la fotografia avesse il potere di catturare l’anima alla gente.
Niente di più vero, a mio avviso.
I miei soggetti non sono professionisti abituati all’obiettivo puntato addosso, c’è quindi un lavoro dietro che li porta a liberarsi, a liberare la parte più intima, che sia già palesata o mortalmente nascosta.
Così attraverso la rappresentazione di se stessi, imparano a conoscersi, a non riconoscersi, a scoprirsi, o a vedersi forse, come li vedo io.
Mi sono formata al liceo artistico E. Basile per poi imbarcarmi nell’odissea del Dams messinese.
Il mio rapporto con la fotografia ha origine nella pittura.
Mia madre riproduceva grandi opere d’autore su commissione ed io crescevo tra pennelli, colori ad olio, odore d’acquaragia e tele! Ho sempre amato comporre e riprodurre il mondo a modo mio attraverso occhi e mani come fossi un filtro, cercando di caricare me stessa dentro ogni particolare.
Anni fa mi avvicinai all’oggetto macchina fotografica.
Un mondo molto più “obiettivo” dove la firma d’autore è difficile da esaltare.
Emotivamente parlando sono un’altalena, ed ho l’esigenza di riconoscermi in ciò che faccio.
Spesso mi sento combattuta quando penso all’ansia d’originalità, alla ricerca di stile, alla ricerca di se stessi ed il proprio mezzo espressivo o a cose come la lotta eterna tra analogico e digitale.
Un giorno però, il grande regista Giuseppe Tornatore, durante un convegno universitario, disse due cose stupende; prima ci raccontò una sua esperienza di vita:
“Io ed un mio amico, da ragazzi, facevamo riprese e fotografia, provavamo di tutto.
Quando v’era un attimo importante nella scena filmata, il mio amico aveva l’stinto di fermarsi e prendere la macchina fotografica per immortalare quell’ istante; lui era un fotografo. Lo stesso accadde a me con la fotografia. Mi accorsi che un fotogramma non mi bastava per raccontare ciò che avevo dentro. Io ero un regista.” La seconda cosa invece riguardava il terrore del digitale mosso dal pubblico; così rispose:
“Non è stata certo l’invenzione della penna, né le sue innovazioni, a far diventare qualcuno un meraviglioso scrittore”. Tutto questo mi risollevò parecchio, mi fece prendere maggiore coscienza e nulla ebbe più importanza.
Così credo che non ci sia definizione più giusta per la fotografia : Punti di vista.
Il mio occhio sul mondo parla con gli altri occhi come meglio crede;
ciò che conta è la comunicazione che sia riconoscibile attraverso una “voce” e che l’arte parli come uno specchio a chi sa ascoltarla. Si dice che la vera arte sia quella in grado di farne nascere dell’altra.
La Musica, non posso non menzionarla dal momento che ha, da sempre, grande spazio nella mia vita, ed è fonte inesauribile d’ispirazione e trasporto emotivo, specie il jazz.
La mia fotografia potrebbe essere categorizzata come pittorialista ma non mi sono mai andate giù le etichette stilistiche; amo “dipingere” con la luce attraverso il movimento, l’esposizione ed i fuori fuoco tra soggetto e macchina. Amo comporre, amo la geometria, gli attimi rubati, le forme ed i volti.
Gli indiani d’America sostenevano che la fotografia avesse il potere di catturare l’anima alla gente.
Niente di più vero, a mio avviso.
I miei soggetti non sono professionisti abituati all’obiettivo puntato addosso, c’è quindi un lavoro dietro che li porta a liberarsi, a liberare la parte più intima, che sia già palesata o mortalmente nascosta.
Così attraverso la rappresentazione di se stessi, imparano a conoscersi, a non riconoscersi, a scoprirsi, o a vedersi forse, come li vedo io.
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