DIANE ARBUS

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Monique Leone Monique Leone Messaggio 1 di 21
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Quest’anno ho perso un’occasione; quella di passare qualche giorno ad osservare dal vivo 200 fotografie di Diane Arbus a Parigi.
Forse anche per questo ho pensato di raccogliere qui le informazioni necessarie per presentarla.
Definirla non è affatto facile e forse persino troppo presuntuoso; per questo mi affiderò spesso alle sue parole:
“… Una cosa non si vede perché è visibile, ma al contrario, visibile perché si vede…”.


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Non è certamente una fotografa sconosciuta, tutt’altro: credo piuttosto appena conosciuta; forse perché tantissime le interpretazioni tentate su di lei e sulla sua fotografia.

La grande ed internazionale attenzione su di lei si manifestò postuma. Forse prevalentemente dettata dalle sue così dette strane scelte di soggetti: primi fra tutti i freaks (cosiddetti fenomeni da baraccone, le attrazioni da circo fino a tutto il 1800).
Ma non mi soffermo su questo, spero di portare alla vostra attenzione magari qualche particolare che parli di lei come e quanto le fotografie più famose e controverse.

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Scrive (nella sua autobiografia, nel 1934, a soli 11 anni):

“La prima parte della mia storia è in gran parte presa dalla mia immaginazione, anche voi dovete usare un po’ di fantasia. Non sono ancora nata…”.


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Monique Leone Monique Leone Messaggio 2 di 21
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Diane Arbus, 1923-1971

Diane Nemerov nasce il 14 marzo 1923 in una ricca famiglia ebrea di New York. La famiglia è proprietaria della catena di Grandi magazzini Russek's. È la seconda di tre figli: il fratello maggiore, Howard Nemerov, più grande di Diane di tre anni, diventerà uno dei maggiori poeti americani; la sorella minore, Renée, una scultrice.
A soli 14 anni conosce quello che sarà poi suo marito, Allan Arbus, di cinque anni più grande, all'epoca commesso da Russek's.
Se ne innamora, nonostante il loro rapporto non sia ben visto dalla sua famiglia.
Lei lo sposerà appena compiuti i 18 anni, il 10 aprile del 1941. Il primo lavoro dei giovani sposi è un servizio fotografico pubblicitario per la catena del padre, i Grandi magazzini Russek's, al quale poi si susseguiranno numerosi lavori fotografici su commissione per la moda.
Diane è da tutti considerata una ragazza molto dotata, ma pur di sposare Allan non esita a rifiutarsi di andare all'università.
Durante la seconda guerra mondiale Allan fa il servizio militare lavorando come fotografo per l'esercito.
Alla fine del 1944 Allan è in Birmania, il 3 aprile del 1945 nasce la figlia Doon Arbus.
Alla fine della seconda guerra mondiale Allan e Diane decidono di fare i fotografi. All'inizio sembra che Diane si limiti a fare da assistente ad Allan, lo studio comunque si chiama “Diane & Allan Arbus”. Diane studierà fotografia brevemente con Berenice Abbott nel 1947, poi con Brodovitch, nel 1955. Infine con Lisette Model, con cui studia nel 1956 e nel '57, la quale continuerà ad essere una presenza importante per lei.
In una intervista a "Newsweek" Diane racconta così la sua amicizia con la Model: “Finché non studiai con Lisette sognavo di far fotografie, ma non le facevo davvero. Lisette mi disse che dovevo divertirmi nel farlo...”.

È proprio grazie all'esperienza con Lisette che Diane supera la sua timidezza e trova il coraggio di fotografare i soggetti che desidera.
Nel 1951 Diane e Allan lasciano per un anno il lavoro sulla moda per un viaggio in Europa. Il 16 aprile del 1954 nasce la seconda figlia Amy Arbus. Diane per il parto rifiuta l'anestesia, e si dice che abbia descritto la cosa come una delle migliori esperienze della sua vita.
Diane collaborerà con il marito Allan solamente fino al 1956.
Ancora alla fine degli anni '50 Diane lavora con una Nikon 35mm.
Nel periodo fra il '57 e il '60 Diane scopre l'Hubert's Museum, dove si esibiscono una serie di bizzarre figure. Diane frequenterà spesso molti di loro e li fotograferà più volte. Più o meno in questo periodo il matrimonio di Diane e Allan va in crisi, si separano nel 1959, divorziano dieci anni dopo.
Diane conosce Emile De Antonio, il quale le fa vedere “Freaks”, il film del 1932 di Tod Browning, ambientato nel mondo del circo, che narra le storie d’amore che s’intrecciano tra i fenomeni da baraccone. E' considerato un cult movie, ed è sicuramente uno dei film che maggiormente si avvicini alla sua estetica.
Diane ricerca qualcuno che pubblichi i suoi lavori, ma non è facile, visti i soggetti. La sua prima pubblicazione è “The Vertical Journey”, sei foto pubblicate nel 1960 sulla rivista "Esquire". A questo segue nel 1961 “The Full Circle” su "Harper's Bazaar".
Il 1962 è l'anno del passaggio alla Rollei, non senza qualche difficoltà iniziale. La Arbus sviluppa anche un nuovo filone di interesse, quello per i nudisti. Sempre nel '62 “Show” pubblica le foto di Mae West della Arbus, che sembra però non siano piaciute molto alla diva.
Le difficoltà con i soggetti ritratti per i lavori su commissione, che non gradiscono affatto il modo con cui la Arbus li rappresenta, saranno una delle costanti del suo lavoro.
Nel 1963 Diane Arbus vince la sua prima borsa di studio della Guggenheim. In questi anni frequenta il famoso fotografo di moda Richard Avedon. Fra il '64 e il '65 Diane Arbus è spesso in giro per New York a fare fotografie. Nel 1965 il MOMA presenta tre fotografie della Arbus in una mostra dal titolo “Acquisizioni recenti”.
La reazione del pubblico non è di indifferenza: ogni giorno le fotografie dovevano essere pulite dagli sputi dei visitatori.
Nel 1965 Diane tiene un corso di fotografia alla Parson School of Design. Invece di far studiare l'arte sui libri la Arbus porta gli studenti a vedere le opere nei musei. Nel '66 Diane è in Giamaica, fotografa per il "New York Times" delle foto di moda per bambini.
Nel 1967 il MOMA espone trenta sue foto nella mostra “New Documents” insieme a foto di Gerry Winograd e Lee Friedlander. La mostra è un grande successo, nonostante le polemiche che la accompagnano. L'etichetta di “fotografa di mostri” che le viene cucita addosso non piace a Diane. Nell'aprile del '69 è a Londra, fotografa per le riviste "Nova" e il "Sunday Times". Su "Nova" escono le sue foto di sosia di personaggi famosi. Sono gli anni in cui la si vede spesso alle manifestazioni pro e contro la guerra in Vietnam.
Alla fine del'69 la Arbus si trasferisce al Wesbeth, un condominio di New York che per statuto accetta solo artisti.
Per potersi permettere di acquistare la Pentax che le ha fatto provare un amico fotografo (Hiro), organizza un corso che terrà in uno degli appartamenti liberi di Wesbeth, il suo condominio.
La Arbus è ormai un mito fra i giovani fotografi. Nel 1970 "Art Forum" pubblica le sue foto. E' molto insolito per un mensile che di solito si occupa di arte astratta. Nel 1970 Diane inizia a fotografare dei disabili in un istituto. È la serie che diventerà nota dopo la sua morte con il titolo di “Untitled”. Fra gli ultimi soggetti della Arbus vi sono però anche le prostitute e i clienti di alcuni bordelli sadomaso. Di questi lavori sono noti solo pochi scatti.
Ormai la depressione di cui ha sempre sofferto si è aggravata. Il 26 luglio 1971 muore ingerendo una forte dose di barbiturici e tagliandosi i polsi nella vasca da bagno.

Nel 1972 inizia la sua consacrazione. Prima la monografia della "Aperture" e poi l'esposizione delle sue foto alla Biennale di Venezia, una partecipazione decisa dalla Arbus poco prima della sua morte, la proiettano direttamente nell'olimpo dei grandi. Fra le grandi mostre della Arbus dopo la sua morte ricordiamo solo “Diane Arbus Revelations” del 2004, che per la prima volta rende disponibile al pubblico una grande quantità di documenti biografici e molte foto precedentemente mai pubblicate.


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Monique Leone Monique Leone Messaggio 3 di 21
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http://www.youtube.com/watch?v=jFXGeFzFMKk

Tra le numerose testimonianze sulla fotografa, parole, tratti della sua personalità, modi di raccontare, spiccano le parole riportate in più punti della tanto discussa biografia "Vita e morte di un genio della fotografia (Diane Arbus)" di Patricia Bosworth, che fu in qualche occasione modella fotografata nello studio Arbus.
Raccogliendo racconti di amici e parenti cita qui e là anche le sensazioni che la fotografa suscitava nelle persone. Tra loro Stewart Stern: ”quando parlavi con lei ti faceva sentire la persona più importante del mondo”.


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La sua esperienza della pittura non era poi stata solo un momento di espressione libera e stimolante nel tempo in cui le sembrò interessante: si lasciò influenzare dalle modalità ritrattiste di Goya, adorava i suoi giganti, i nani ed i demoni gobbi.

Sulla fotografia delle tre gemelle disse: “rievocano la mia identità di adolescente”.
Indomita, seppur spaventata da alcune situazioni limite, era convinta che dietro la macchina fotografica non potesse accaderle nulla di male. L'unico male lo rintracciava nella sua anima.

Trasmise in più occasioni la sua convinzione che l’arte e la fotografia siano fatica e durezza, girava sempre carica di macchine fotografiche:
“fare una fotografia non può essere una cosa semplice né piacevole, se no non è arte".


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Diceva: “il mio lavoro nasce dalla goffaggine, dal disagio (paragonando il suo al lavoro di Richard Avedon come nato dalla grazia)… Voglio dire con questo che se mi trovo di fronte a qualcosa, invece di adattarla, adatto me stessa…”.
Monique Leone Monique Leone Messaggio 4 di 21
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http://www.youtube.com/watch?v=uBbvcuy-Qe8

Lei più di tanti altri ha cercato e poi espresso nella sua vita le due anime che ognuno di noi porta dentro: la forza della vita nell’ispirazione e nell’arte, nel perseguire un benessere emotivo/esistenziale, e il forte senso d’inadeguatezza e di finita umanità. Sempre combattuta dall’accettare lavori che l’avrebbero portata a porsi, esteriormente, un gradino più su, quasi non credesse di potere, e di contro sempre alla ricerca di lavori maggiormente remunerativi.

“… È importante fare brutte fotografie: sono proprio le brutte fotografie che rappresentano quello che non si è mai fatto prima… A volte guardi nel caleidoscopio, lo scuoti ma può capitare che non tutto se ne vada via…
Non sono una virtuosa… Non posso fare tutto quello che voglio…”.

Raccogliere e scambiarsi segreti era la caratteristica del legame personale che si stabiliva tra lei e i suoi soggetti.

Alla domanda se la deformazione fosse una scelta, rispose:
“… Il processo stesso del fotografare è un po’ deformante… io non ho interesse nel deformare in sé… ti devi preoccupare di quello che vuoi tu e di quello che vuole la macchina fotografica…
Cerco di fare del mio meglio per dare unità alle cose… la poesia, l’ironia, la fantasia, è tutto mischiato in una sola cosa…”.

Parlava sempre della fotografia come di un’avventura. Diceva:
“Qualcuno ha detto che l’orrore per me è la relazione tra il sesso e la morte. Scegliere un progetto può essere ironico. Tutti hanno ironia, è inevitabile, la ritrovi nella struttura, nei dettagli, nel significato… voglio dire che non sceglierei mai un soggetto per quello che significa per me. Lo scelgo, e solo dopo comincia ad emergere quello che sento per lui, quello che significa.
… Non riesco a credere che il denaro possa essere una ricompensa per l’arte. L’arte mi sembra che sia qualcosa che si fa perché fa bene farlo".


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Alle sue lezioni disse: "Nessuno amerà le vostre fotografie quanto voi stessi…”.

Le lezioni non vertevano solo sulla fotografia. Erano sulla gente, sui rapporti con la gente e su come suscitare una reazione sincera. Durante le lezioni Diane sedeva sul pavimento a gambe incrociate passando a tutti noci e frutta secca da sgranocchiare. Diceva sempre: "Imparate a non essere diligenti, fare un ritratto è come sedurre qualcuno, bisogna usare tutte le doti che si possiedono per ottenere una fotografia…”.


Richard Avedon diceva di lei: "Nulla nella sua vita, nelle sue fotografie e nella sua morte è stato casuale o comune. Tutto quello che le accadeva sembrava misterioso, decisivo ed inimmaginabile, naturalmente non per lei. E questo capita solo ai geni".
Monique Leone Monique Leone Messaggio 5 di 21
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I dati e le notizie che ho raccolto e tradotto mi hanno sicuramente aperto a considerare un quadro generale di riferimento che non mi ha poi però portato a fare grandi considerazioni che mutassero la mia esperienza di fruitrice della sua fotografia. Si resta avvolti e coinvolti spesso solo da un volto come se ti accompagnasse in un altro mondo dove puoi però riconoscere i tratti della più comune umanità. I suoi ritratti instillano un senso di grande familiarità, di vicinanza; si legge una grande partecipazione, intimità e, se vogliamo considerarla così, una grande perseveranza nel creare e nell’approfondire il rapporto con i suoi soggetti; la forza della proiezione di sé, forse persino di quella parte di sé che ha considerato dall’infanzia un handicap, e cioè il non sentirsi mai coinvolta da nulla. Diceva infatti spesso di sentirsi “immune”.


Sono innumerevoli le fotografie che non sono mai state stampate; dopo la sua morte la figlia Doon ed uno dei suoi più cari amici e mentori Marvin Israel si sono trovati con diverse migliaia di rulli mai arrivati in camera oscura. Questo può forse darci un’idea del gran numero di fotografie scattate da Diane e del suo modo di approcciarsi al materiale; io ho subito pensato a quale tesoro possa nascondersi in tanti scatti; lei il suo tesoro lo aveva vissuto scattando quelle migliaia di fotografie.

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Devo aggiungere infine che non mi sono mai ispirata a lei: sono solo rimasta colpita ed interessata dalla sua personalità e dal modo in cui è innegabilmente visibile nelle sue fotografie.

“Un’impronta è fatta da una calzatura, ma non è la scarpa stessa…”.
http://www.youtube.com/watch?v=aBH9T-VeEfA


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Le fonti:

Diane Arbus, REVELATIONS (Random House).

Pino Bertelli, Della fotografia trasgressiva dell’estetica dei “freaks” all’etica della ribellione. Saggio su Diane Arbus (NDApress).

Patricia Bosworth, Diane Arbus: vita e morte di un genio della fotografia (Rizzoli).

Diane Arbus, edizione del 25esimo anniversario (Aperture-italiano).

Diane Arbus, Magazine Works Aperture.
Monique Leone Monique Leone Messaggio 6 di 21
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Grazie Maricla per l'infinita pazienza e la tua cura sempre attenta e discreta.
Ivano Cheli (1) Ivano Cheli (1)   Messaggio 7 di 21
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Le ho viste tutte dal vivo al fotomuseo di winterthur, la mostra c'è fino al 28 maggio. Questo il link http://www.fotomuseum.ch/
Devo dire che non mi ha fatto impazzire ma lei è un personaggio straordinario.
Andrea Minichini Andrea Minichini Messaggio 8 di 21
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perchè il genio può risultare dannoso?....ed ecco che Moni ci dice in modo cristallino...e senza cercare motivazioni giustificanti..:.barbiturici ..suicdio...
non li cerca perchè sono talmente evidenti dal suo ..esporre che si hanno sotto gli occhi...
l'Arbus sentiva il valore del ...diverso...lo fotografava..cercandone l'anima...
ma era la sua che cercava.il suo sentirsi pulsata da domande ..in quei volti..in quei modi di cogliere le mimiche piu lontane e rare.....storpie da risa e dolori..o ammimiche ansiogene..
si l'Arbus è un genio....e come tutti i geni.....sente su di se il peso del mondo....x l'aumentata percezione delle cose..
ne viene inquietata...se c'era da farlo....risultato insostenibile...
mi ha colpito...questo.....famiglia ricca....a x comprarsi un pentax....ha dovuto organizzare ed inventarsi....corsi fotografici.....perchè Moni?...quali i veri rapporti con la famiglia??e quanto ha inciso sulla sua fine...il tipo, il percorso..sull'essere genio
ed ....ha avuto....tempo x essere...genio??

se non il denaro.....ma tempo ne aveva.ed il ruolo di questo??...
..e mi chiedo..se fosse stata...felice veramente...il genio...ci sarebbe stato?..
che ne pensi Moni.?
ps complimenti....molti..
Utente cancellato Utente cancellato Messaggio 9 di 21
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Messaggio Modificato (23:53)
Utente cancellato Utente cancellato Messaggio 10 di 21
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Grazie Monique, molto dettagliata e approfondita (non è la stessa cosa) la tua presentazione, un piacere leggerla, francesco
lucy franco lucy franco   Messaggio 11 di 21
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"ogni differenza è anche una somiglianza"

Se, come dichiarò Eudora Welty, Arbus violava l'intimità altrui, nel farlo metteva in mostra le proprie angosce e paure interiori.
Le sue foto, lungi dall'essere gratuite o sensazionalistiche divennero metafore del suo drammatico viaggio.


Interessantissima questa lettura della Arbus attraverso le sue parole.

Davvero un ottimo lavoro, Monique, grazie.
Utente cancellato Utente cancellato Messaggio 12 di 21
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Una fotografa straordinaria quanto complicata e indefinibile per certi aspetti... eh sì...“Un’impronta è fatta da una calzatura, ma non è la scarpa stessa…”.
Lavoro meritevole, complimenti Monique e grazie
Monique Leone Monique Leone Messaggio 13 di 21
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grazie a voi :-))
Monique Leone Monique Leone Messaggio 14 di 21
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@Andrea
la Arbus soffriva di depressione ho riflettuto a lungo se e come riportare la cosa, ma in realtà è una sofferenza che spesso è considerata stigma ed insieme sitmolo di molti artisti.
l'infanzia di Diane ha certamente fatto scaturire la sua ricerca a contrasto con il suo vivere familiare nella ricchezza e nella ricerca della stessa, ha scelto diversamente;
non ha chiesto e non ha voluto aiuti dalla sua famiglia d'origine; fin da piccola, con la sua grande personalità si distaccava con forza dal pensiero comune medio borghese che le girava intorno.
ed ancora dopo la separazione ed il divorzio voleva ad ogni costo mantenersi e mantenere le sue figlie con il suo lavoro.
un'altra cosa che non ho scritto: aveva il terrore di invecchiare, inteso in tutte le sue forme quelle seduttive come quelle funzionali; impossibile secondo me rintracciare pienamente il suo percorso di "genio" come dici bene tu...
il fatto che lei ha messo fine a questo percorso potrebbe voler dire tante cose alle quali non credo avremo accesso :-)

dici bene tu: ...sente su di sé il peso del mondo... prima di tutto del suo... per l'aumentata percezione delle cose...
ecco ho avuto in tutto questo tempo la costante sensazione che lei che dall'immunità che sentiva da bambina sia scaturita un'indomita necessità di esperire e percepire tutto ciò che non si sentisse di essere a costo perfino di perdersi...
una scelta vissuta certamente come necessità per lei prima che espressiva ed in ogni caso molto forte.
forte in contrasto con l'abbandono depressivo che pure a tratti la ingoiava.

è stato davvero un piacere.
Andrea Minichini Andrea Minichini Messaggio 15 di 21
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le radici hanno il succo linfatico...
o non l'hanno...
grazie Monique...un piacere anche mio.
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