Presenza importante per la qualità della nostra community, Lucy è persona di spessore. Le sue fotografie, le sue parole sanno decifrare il mondo, quello che sente lei stessa e quello che riceve dalle visioni altrui.
Il talento fotografico di Lucy prende non la realtà ma la sua percezione, l'impressione. E' un palcoscenico di sensazioni silenziose e rarefatte, di impronte, direi. Segni ricevuti e raccolti con gli occhi, la mente e il cuore. E Lucy li offre a noi, combinandoli in visioni elegantissime e sapienti, in cui la perizia tecnica e la consapevolezza del fare si dissolvono nell'imperiosità dell'impressione da comunicare e nell'urgenza del sogno, della purezza sospesa di un attimo profondo di attesa.
scrivendo... lucy franco 30.06.11 65
Memories lucy franco 30.08.10 117
derrière la nuit… lucy franco 19.05.10 42
3 - è quest'ombra… lucy franco 16.04.12 18
un artista ha la… lucy franco 19.03.12 31
Dio sa che non vo… lucy franco 27.02.12 90
playtime lucy franco 01.03.12 34
in punta di cigli… lucy franco 15.11.11 23
Dorian lucy franco 17.11.11 17
Giuly lucy franco 04.10.11 33
Il talento fotografico di Lucy prende non la realtà ma la sua percezione, l'impressione. E' un palcoscenico di sensazioni silenziose e rarefatte, di impronte, direi. Segni ricevuti e raccolti con gli occhi, la mente e il cuore. E Lucy li offre a noi, combinandoli in visioni elegantissime e sapienti, in cui la perizia tecnica e la consapevolezza del fare si dissolvono nell'imperiosità dell'impressione da comunicare e nell'urgenza del sogno, della purezza sospesa di un attimo profondo di attesa.
scrivendo... lucy franco 30.06.11 65
Memories lucy franco 30.08.10 117
derrière la nuit… lucy franco 19.05.10 42
3 - è quest'ombra… lucy franco 16.04.12 18
un artista ha la… lucy franco 19.03.12 31
Dio sa che non vo… lucy franco 27.02.12 90
playtime lucy franco 01.03.12 34
in punta di cigli… lucy franco 15.11.11 23
Dorian lucy franco 17.11.11 17
Giuly lucy franco 04.10.11 33
Signori si nasce
lucy franco
13.06.11
21
tramonto lucy franco 03.06.11 35
ritratto in b/n lucy franco 29.11.10 37
ad occhi socchius… lucy franco 18.11.10 34
Milano che mostra lucy franco 21.09.10 15
Sette peccati - A… lucy franco 25.05.10 28
...s'i' fosse ve… lucy franco 14.05.10 56
About the light… lucy franco 09.01.10 82
Il confidente lucy franco 12.04.09 101
Luce lucy franco 11.01.09 33
tramonto lucy franco 03.06.11 35
ritratto in b/n lucy franco 29.11.10 37
ad occhi socchius… lucy franco 18.11.10 34
Milano che mostra lucy franco 21.09.10 15
Sette peccati - A… lucy franco 25.05.10 28
...s'i' fosse ve… lucy franco 14.05.10 56
About the light… lucy franco 09.01.10 82
Il confidente lucy franco 12.04.09 101
Luce lucy franco 11.01.09 33
D. Il tuo primo incontro con la fotografia.
R. Per me, in necessario presupposto, c’è stato l’incontro con “le” fotografie.
Quelle che osservavo sulle riviste, sui manifesti per strada, nei libri di scuola, negli album fotografici della mia famiglia, dove tra gruppi di parenti festanti tutti in posa, o ricordi di città lontane, c’era qualche ritratto di sconosciuti, acconciature e vestiti di un’altra epoca, volti dalle espressioni quasi ieratiche, vivi per sempre sul cartoncino ormai ingiallito dal tempo.
Costruivo un mio personalissimo album fotografico di scatti altrui, scegliendo a istinto quelle immagini che mi fermavano, non indagando più a fondo sul cosa o sul perché della scelta.
Ancora ricordo una di queste immagini, ritagliata da un giornale: la figura di un giovane uomo e di un bambino che si tenevano per mano e passeggiavano lungo l’argine di un fiume, in un morbido e luminoso b/n.
E ancora, un paesaggio montano, dai colori freddi di un tramonto ormai ai confini con la notte, in cui da una sola finestra, piccolissima, di una casa rurale, si intravedeva una luce calda, che evocava presenze umane.
Potere affabulatorio della fotografia, adesso lo so, storie suggerite, urlate, descritte minuziosamente, o anche semplicemente abbozzate e lasciate crescere nella immaginazione di chi guarda.
Da lì a voler creare la stessa alchimia, il passo è stato naturale, ma sicuramente non facile.
Una macchina fotografica dai comandi misteriosi, numeri piccolissimi incisi sulle ghiere, è stato un piccolo “prestito” rubato dal cassetto dello studio di mio padre, mai più restituito.
Fotografie fatte… tante: amiche, gite scolastiche, compleanni… grande divertimento ma nel tempo l’insoddisfazione cresceva, volevo “quella” fotografia, che non veniva mai.
I fuochi di artificio di una festa di paese, il salto nelle pozzanghere di un bambino, lo sguardo e il sorriso di un giovane amore biondo erano traguardi lontani, ipotesi misteriose.
E qui comincia il mio incontro con “la” fotografia.
Ad un corso tenuto da un professionista, appuntamento settimanale mai mancato, ho imparato i rudimenti di ottica, la scomposizione di una reflex, e poi ancora sviluppo e stampa.
Finalmente scoprivo la formula magica per il controluce, le regole della inquadratura e quell’incrocio da assi cartesiani di tempi e diaframmi.
Poi sono arrivati libri e saggi, biografie di Autori, per impossessarmi di quella affabulazione usando mezzi diversi, allargando l’attenzione ai territori limitrofi, leggendo e non solo scattando.
Perché nessuno può bastare a sé stesso: la passione è, per me, conoscenza.
D. Spesso per te la tensione narrativa non si esaurisce nella sintesi di uno scatto ma ne travalica i confini. Ed ecco la serie, ecco il dittico… Spiegaci la tua interpretazione di quest'ultima forma, e il bisogno che a volte te la fa scegliere per comunicare.
rondini lucy franco 08.03.12 154
mood lucy franco 22.03.11 57
Giuly lucy franco 19.01.11 36
R. Il dittico è per me una metonimia visiva costruita su differenti piani non solo spaziali ma temporali.
E' un'“altra” costruzione di immagine: mosso, ossia il movimento, contrapposto alla fissità, il generale contro il particolare, l'evanescente contrapposto al definito, l'astratto e il concreto... per assonanza la vita e la morte.
Una fotografia può dire molto, ma due consentono percorsi visivi bidirezionali in cui si lascia spazio a indagini interpretative ancora più aperte. Due realtà differenti seppure simili, immagini che si fondono alla fine in un'unica realtà vista solo da due punti di vista personali.
In questi casi è evidente che l’istante fotografico non è il presente registrato, il documento, il fatto o il momento ma piuttosto lo spazio temporale, un legame di contrappunto.
Quello che sta in mezzo è null’altro che “un altro spazio e un altro tempo, un’altra verità, un altro silenzio”.
D. Perché spesso hai bisogno del bianco e nero? Quale dimensione della tua ricerca trova qui il suo appagamento?
R. Si dice che i grandi fotografi, ai quali con ovvia umiltà io guardo, non fotografano mai quello che hanno davanti all’obiettivo ma quello che hanno in mente.
Le immagini hanno un linguaggio che “bypassa” la ragione e arriva direttamente a livelli meno razionali. Germano Celant, critico e storico dell’arte, ha scritto parole illuminanti che a memoria riporto: “Quando l'empatia con il soggetto non vive soltanto sul taglio e sul montaggio, ma sul valore intrinseco e logico dell'esperienza del vedere, esiste una possibilità di visione alternativa all'indifferenza e alla normalità del documento”.
Ciò nella mia esperienza succede con la scelta del b/n: infinite tonalità che creano nelle loro pieghe tutto un mondo di rimandi a suggestioni che ognuno di noi possiede per cultura o per semplice esperienza visiva.
L’emozionale che trova il suo giusto linguaggio, che non è quasi mai nelle mie fotografie racconto dettagliato netto e sicuro, ma spesso sconfina verso la percezione, più che la visione.
Come una poesia di pochi versi, capace di parlare non alla ragione ma all’istinto.
D. Riesci a tradurre l'inespresso, il non detto, attraverso il linguaggio dell'immagine. Nelle tue fotografie si respira il senso dell'attesa, della sospensione. Ma è un vuoto che non dà vertigini, che ha una valenza positiva e aperta. Una malinconia dolce. Cosa ti affascina del non conosciuto, del non accaduto?
R. “Ci vuole del talento a fotografare qualcosa che non c’è": ecco, lapidaria, la frase che mi è stata detta, e che io riporto, come sintesi perfetta.
Il non conosciuto porta con sé la promessa di felicità, il finale aperto a tutte le conclusioni, una età dell’oro ancora tutta da conoscere e da godere, che forse non accadrà mai.
Il meccanismo è quello della sospensione: la sospensione/attesa come atmosfera, la sospensione del racconto, la sospensione della percezione del tempo.
Vivere la nostra precaria condizione richiede un’attenzione, un’amorevolezza, che esistono solamente attraverso la lentezza. Una sospensione è d’obbligo. Rimanere fermi, immobili, a contemplare il filo che dall’origine ci conduce all’ignoto e che può suscitare le reazioni più varie e contrastanti: una serena contemplazione, una paura paralizzante , e più di tutto la coscienza del trascorrere del tempo.
Così si esorcizza, attraverso la sospensione, il terrore della irreversibilità del tempo.
In quella deroga al tempo, stiamo conoscendo, facendo propria, amando profondamente la vita.
D. Padrona della tecnica, fine conoscitrice di stili e linguaggi, non cerchi la perfezione formale ma contenuti da esprimere. Spiegaci il senso della tua esperienza con le fotocamere analogiche, con la Holga e con la Polaroid.
agosto * lucy franco 22.08.11 12
H 2 - Il cappello lucy franco 13.10.11 19
le tracce di Poll… lucy franco 25.09.11 7
R. La mia esperienza consapevole come fotografa (ancora oggi dilettante) nasce con una fotocamera analogica.
Finita la teoria, inizia l’ebbrezza della pratica col digitale, velocissimo, duttile, economicissimo.
Tante fotografie, tanti esperimenti e tante aspettative disilluse dai risultati.
Poi, come per una naturale evoluzione, si acquista consapevolezza, non solo dei mezzi, ma anche e soprattutto del proprio modus di fare fotografia, e quella che sembrava un'infinita strada a senso unico, si arricchisce di svolte e alternative.
Sollecitata costantemente e con grande pazienza da Luca (), della cui sapiente e preziosa amicizia mi fregio, riprendo in mano pellicole e vecchie reflex, compro una Holga e sulle prime intimidita da questa semplicità e imprevedibilità di funzionamento, comincio a scattare.
I risultati li considero in grande affinità con il mio modo di essere e di specchiarmi nell’immagine.
Sai quello che puoi in linea di massima ottenere, e questo controllo parziale lascia spazio ad una ricerca più attenta alla costruzione della immagine, alla suddivisione tra chiaro e scuro, lasciando che il senso di incompiuto che ogni “holghiana” porta con sé si armonizzi alle tue poche direttive.
La miscela è inconfondibile, e mi ha entusiasmato… lo sanno gli amici di fc a cui ho dedicato quelle prime fotografie, come un omaggio alla loro bravura e a quello che consapevolmente o meno mi hanno dato come esperienza indiretta di “altra” affascinante fotografia.
Lo stesso con la Polaroid: prima curiosità poi innamoramento per la sintesi immediata di colori, atmosfera, straniamento eppure grande suggestione che ogni pellicola possiede. Le uso quasi sempre come piccoli surreali appunti colorati a margine di una agenda personale.
Strumenti capaci di far diventare i propri limiti, loro grandi qualità, cifre inconfondibili della loro capacità di rendere una semplice fotografia una “Holga” o una “Pola”. Un esercizio aleatorio e intrigante, e al contempo duttile, una esperienza che ho poi proseguito con altrettanto divertimento.
D. Presentaci la fotografia di un grande maestro a cui sei più legata. E che continua a emozionarti.
R. Mi piace, come detto in precedenza, osservare fotografie, e alcune hanno un posto speciale nel mio personale album.
Ne scelgo una per il carico straordinario di emotività che mi suscita, per la sua storia e per una sorta di perpetuo ritorno, dal passato fino a epoche più recenti, che sembra non avere fine.
“Migrant Mother, Nipoma, California 1936”, di Dorothea Lange:
Dotothea Lange, M… lucy franco 20.05.12 0
Una figura icona della straight photography, uno dei ritratti di famiglie di lavoratori agricoli migratori che fanno parte delle cronache della Grande Depressione: una madre, Florence Owens Thompson, una donna di 32 anni, ma sul volto già molte rughe, madre di sette figli.
Sulle ginocchia ha un bimbo piccolo, altri due accanto a lei, è preoccupata, guarda oltre con lo sguardo perso a cercare speranza, ma che tradisce timore per il futuro, una espressione magnetica che aggancia chi guarda.
Il tutto culmina col gesto ansioso della mano contro la bocca.
Una donna rifugio e appiglio per i piccoli figli, con la testa girata completamente dall’altra parte rispetto all’obiettivo, come a voler dimostrare il proprio rifiuto per una realtà tragica, e contemporaneamente sembrano i pilastri di forza della madre.
Una composizione perfetta, quasi una interpretazione estetizzante del mondo e delle sue tragedie.
L’attualità di questa fotografia è straordinaria.
Siamo condannati ad incontrare questa “Madre” dal volto colmo di sofferenza, tra le donne in fuga dal Kosovo, o tra le folle disperate in esodo da infiammate frontiere africane.
Una storia, la Storia che ritorna.
D. La fotografia nasconde o rivela?
R. In genere la fotografia viene considerata come espressione di una realtà, o di un pensiero estetico, partendo da un procedimento chimico (l'attività della luce su differenti sostanze) e uno fisico (formazione dell'immagine attraverso l'uso di dispositivi ottici).
Le immagini sono un'illusione della nostra mente e ognuno vede immagini differenti di uno stesso soggetto: ciò che uno vede della realtà esterna lo vede all'interno di se stesso. La straordinarietà di una fotografia è poi l’effetto di suscitare nuove letture.
La fotografia diventa un mezzo quindi per parlare di sé.
Sembra una contraddizione in termini che, usando lo stesso mezzo, alcune persone possano avere un differente risultato, ma indubbiamente è così, perché la capacità, il vissuto, la psicologia, e a volte anche l’umore, possono cambiare completamente una fotografia.
Come uno specchio deformante, la fotografia rivela sicuramente il suo autore; le scelte tecniche come quelle estetiche privilegiano colori, inquadratura, profondità, e parimenti evidenziano la propria sensibilità, intelligenza, modelli ispiratori, e non da ultimo l’approccio alla vita.
Formidabile cosa, questa Fotografia…
D. Sei con noi dal 2008, senza interruzioni, per nostra fortuna :-) Un bilancio della tua esperienza in fotocommunity.
R. Non sono attiva continuativamente in altri siti di fotografia, ho scelto fc come mio virtuale “condominio” in cui vivo ormai da quasi 4 anni.
Il personale bilancio non può essere che positivo, in caso contrario era un attimo fare le valige.
Questa domanda mi offre anche l’opportunità di una illuminante analisi di quello che un luogo virtuale offre in confronto ad un luogo reale.
I rapporti tra utenti, seppure mantenuti sulla fragile piattaforma della sola scrittura (come ho scelto di fare io), diventano al contrario molto forti se passione sincera per la fotografia e affinità si incontrano.
Ho, in questi anni, collaborato con moltissimi utenti, che non cito perché ne scorderei sicuramente qualcuno, e molti di questi sono tra i miei riferimenti fin dai primi giorni.
Presentazioni per mostre reali o virtuali, presentazioni per concorsi anche internazionali, consigli e pareri privati su fotografie, interessanti confronti su qualche “segreto” di tecnica, proposte per esposizioni, oppure, da ultimo e non ultimo, il semplice desiderio di “dire” privatamente, e perciò con più immediatezza, quanto mi ha preso emotivamente quella fotografia o anche, tuffo al cuore, sentirselo dire.
Considero tutto questo molto importante, il vero tesoro di fc.
Poi, qui come nei luoghi reali, si è quello che si è… e, molto più di quel che si creda, indiscutibilmente sotto gli occhi di tutti.
R. Per me, in necessario presupposto, c’è stato l’incontro con “le” fotografie.
Quelle che osservavo sulle riviste, sui manifesti per strada, nei libri di scuola, negli album fotografici della mia famiglia, dove tra gruppi di parenti festanti tutti in posa, o ricordi di città lontane, c’era qualche ritratto di sconosciuti, acconciature e vestiti di un’altra epoca, volti dalle espressioni quasi ieratiche, vivi per sempre sul cartoncino ormai ingiallito dal tempo.
Costruivo un mio personalissimo album fotografico di scatti altrui, scegliendo a istinto quelle immagini che mi fermavano, non indagando più a fondo sul cosa o sul perché della scelta.
Ancora ricordo una di queste immagini, ritagliata da un giornale: la figura di un giovane uomo e di un bambino che si tenevano per mano e passeggiavano lungo l’argine di un fiume, in un morbido e luminoso b/n.
E ancora, un paesaggio montano, dai colori freddi di un tramonto ormai ai confini con la notte, in cui da una sola finestra, piccolissima, di una casa rurale, si intravedeva una luce calda, che evocava presenze umane.
Potere affabulatorio della fotografia, adesso lo so, storie suggerite, urlate, descritte minuziosamente, o anche semplicemente abbozzate e lasciate crescere nella immaginazione di chi guarda.
Da lì a voler creare la stessa alchimia, il passo è stato naturale, ma sicuramente non facile.
Una macchina fotografica dai comandi misteriosi, numeri piccolissimi incisi sulle ghiere, è stato un piccolo “prestito” rubato dal cassetto dello studio di mio padre, mai più restituito.
Fotografie fatte… tante: amiche, gite scolastiche, compleanni… grande divertimento ma nel tempo l’insoddisfazione cresceva, volevo “quella” fotografia, che non veniva mai.
I fuochi di artificio di una festa di paese, il salto nelle pozzanghere di un bambino, lo sguardo e il sorriso di un giovane amore biondo erano traguardi lontani, ipotesi misteriose.
E qui comincia il mio incontro con “la” fotografia.
Ad un corso tenuto da un professionista, appuntamento settimanale mai mancato, ho imparato i rudimenti di ottica, la scomposizione di una reflex, e poi ancora sviluppo e stampa.
Finalmente scoprivo la formula magica per il controluce, le regole della inquadratura e quell’incrocio da assi cartesiani di tempi e diaframmi.
Poi sono arrivati libri e saggi, biografie di Autori, per impossessarmi di quella affabulazione usando mezzi diversi, allargando l’attenzione ai territori limitrofi, leggendo e non solo scattando.
Perché nessuno può bastare a sé stesso: la passione è, per me, conoscenza.
D. Spesso per te la tensione narrativa non si esaurisce nella sintesi di uno scatto ma ne travalica i confini. Ed ecco la serie, ecco il dittico… Spiegaci la tua interpretazione di quest'ultima forma, e il bisogno che a volte te la fa scegliere per comunicare.
rondini lucy franco 08.03.12 154
mood lucy franco 22.03.11 57
Giuly lucy franco 19.01.11 36
R. Il dittico è per me una metonimia visiva costruita su differenti piani non solo spaziali ma temporali.
E' un'“altra” costruzione di immagine: mosso, ossia il movimento, contrapposto alla fissità, il generale contro il particolare, l'evanescente contrapposto al definito, l'astratto e il concreto... per assonanza la vita e la morte.
Una fotografia può dire molto, ma due consentono percorsi visivi bidirezionali in cui si lascia spazio a indagini interpretative ancora più aperte. Due realtà differenti seppure simili, immagini che si fondono alla fine in un'unica realtà vista solo da due punti di vista personali.
In questi casi è evidente che l’istante fotografico non è il presente registrato, il documento, il fatto o il momento ma piuttosto lo spazio temporale, un legame di contrappunto.
Quello che sta in mezzo è null’altro che “un altro spazio e un altro tempo, un’altra verità, un altro silenzio”.
D. Perché spesso hai bisogno del bianco e nero? Quale dimensione della tua ricerca trova qui il suo appagamento?
R. Si dice che i grandi fotografi, ai quali con ovvia umiltà io guardo, non fotografano mai quello che hanno davanti all’obiettivo ma quello che hanno in mente.
Le immagini hanno un linguaggio che “bypassa” la ragione e arriva direttamente a livelli meno razionali. Germano Celant, critico e storico dell’arte, ha scritto parole illuminanti che a memoria riporto: “Quando l'empatia con il soggetto non vive soltanto sul taglio e sul montaggio, ma sul valore intrinseco e logico dell'esperienza del vedere, esiste una possibilità di visione alternativa all'indifferenza e alla normalità del documento”.
Ciò nella mia esperienza succede con la scelta del b/n: infinite tonalità che creano nelle loro pieghe tutto un mondo di rimandi a suggestioni che ognuno di noi possiede per cultura o per semplice esperienza visiva.
L’emozionale che trova il suo giusto linguaggio, che non è quasi mai nelle mie fotografie racconto dettagliato netto e sicuro, ma spesso sconfina verso la percezione, più che la visione.
Come una poesia di pochi versi, capace di parlare non alla ragione ma all’istinto.
D. Riesci a tradurre l'inespresso, il non detto, attraverso il linguaggio dell'immagine. Nelle tue fotografie si respira il senso dell'attesa, della sospensione. Ma è un vuoto che non dà vertigini, che ha una valenza positiva e aperta. Una malinconia dolce. Cosa ti affascina del non conosciuto, del non accaduto?
R. “Ci vuole del talento a fotografare qualcosa che non c’è": ecco, lapidaria, la frase che mi è stata detta, e che io riporto, come sintesi perfetta.
Il non conosciuto porta con sé la promessa di felicità, il finale aperto a tutte le conclusioni, una età dell’oro ancora tutta da conoscere e da godere, che forse non accadrà mai.
Il meccanismo è quello della sospensione: la sospensione/attesa come atmosfera, la sospensione del racconto, la sospensione della percezione del tempo.
Vivere la nostra precaria condizione richiede un’attenzione, un’amorevolezza, che esistono solamente attraverso la lentezza. Una sospensione è d’obbligo. Rimanere fermi, immobili, a contemplare il filo che dall’origine ci conduce all’ignoto e che può suscitare le reazioni più varie e contrastanti: una serena contemplazione, una paura paralizzante , e più di tutto la coscienza del trascorrere del tempo.
Così si esorcizza, attraverso la sospensione, il terrore della irreversibilità del tempo.
In quella deroga al tempo, stiamo conoscendo, facendo propria, amando profondamente la vita.
D. Padrona della tecnica, fine conoscitrice di stili e linguaggi, non cerchi la perfezione formale ma contenuti da esprimere. Spiegaci il senso della tua esperienza con le fotocamere analogiche, con la Holga e con la Polaroid.
agosto * lucy franco 22.08.11 12
H 2 - Il cappello lucy franco 13.10.11 19
le tracce di Poll… lucy franco 25.09.11 7
R. La mia esperienza consapevole come fotografa (ancora oggi dilettante) nasce con una fotocamera analogica.
Finita la teoria, inizia l’ebbrezza della pratica col digitale, velocissimo, duttile, economicissimo.
Tante fotografie, tanti esperimenti e tante aspettative disilluse dai risultati.
Poi, come per una naturale evoluzione, si acquista consapevolezza, non solo dei mezzi, ma anche e soprattutto del proprio modus di fare fotografia, e quella che sembrava un'infinita strada a senso unico, si arricchisce di svolte e alternative.
Sollecitata costantemente e con grande pazienza da Luca (), della cui sapiente e preziosa amicizia mi fregio, riprendo in mano pellicole e vecchie reflex, compro una Holga e sulle prime intimidita da questa semplicità e imprevedibilità di funzionamento, comincio a scattare.
I risultati li considero in grande affinità con il mio modo di essere e di specchiarmi nell’immagine.
Sai quello che puoi in linea di massima ottenere, e questo controllo parziale lascia spazio ad una ricerca più attenta alla costruzione della immagine, alla suddivisione tra chiaro e scuro, lasciando che il senso di incompiuto che ogni “holghiana” porta con sé si armonizzi alle tue poche direttive.
La miscela è inconfondibile, e mi ha entusiasmato… lo sanno gli amici di fc a cui ho dedicato quelle prime fotografie, come un omaggio alla loro bravura e a quello che consapevolmente o meno mi hanno dato come esperienza indiretta di “altra” affascinante fotografia.
Lo stesso con la Polaroid: prima curiosità poi innamoramento per la sintesi immediata di colori, atmosfera, straniamento eppure grande suggestione che ogni pellicola possiede. Le uso quasi sempre come piccoli surreali appunti colorati a margine di una agenda personale.
Strumenti capaci di far diventare i propri limiti, loro grandi qualità, cifre inconfondibili della loro capacità di rendere una semplice fotografia una “Holga” o una “Pola”. Un esercizio aleatorio e intrigante, e al contempo duttile, una esperienza che ho poi proseguito con altrettanto divertimento.
D. Presentaci la fotografia di un grande maestro a cui sei più legata. E che continua a emozionarti.
R. Mi piace, come detto in precedenza, osservare fotografie, e alcune hanno un posto speciale nel mio personale album.
Ne scelgo una per il carico straordinario di emotività che mi suscita, per la sua storia e per una sorta di perpetuo ritorno, dal passato fino a epoche più recenti, che sembra non avere fine.
“Migrant Mother, Nipoma, California 1936”, di Dorothea Lange:
Dotothea Lange, M… lucy franco 20.05.12 0
Una figura icona della straight photography, uno dei ritratti di famiglie di lavoratori agricoli migratori che fanno parte delle cronache della Grande Depressione: una madre, Florence Owens Thompson, una donna di 32 anni, ma sul volto già molte rughe, madre di sette figli.
Sulle ginocchia ha un bimbo piccolo, altri due accanto a lei, è preoccupata, guarda oltre con lo sguardo perso a cercare speranza, ma che tradisce timore per il futuro, una espressione magnetica che aggancia chi guarda.
Il tutto culmina col gesto ansioso della mano contro la bocca.
Una donna rifugio e appiglio per i piccoli figli, con la testa girata completamente dall’altra parte rispetto all’obiettivo, come a voler dimostrare il proprio rifiuto per una realtà tragica, e contemporaneamente sembrano i pilastri di forza della madre.
Una composizione perfetta, quasi una interpretazione estetizzante del mondo e delle sue tragedie.
L’attualità di questa fotografia è straordinaria.
Siamo condannati ad incontrare questa “Madre” dal volto colmo di sofferenza, tra le donne in fuga dal Kosovo, o tra le folle disperate in esodo da infiammate frontiere africane.
Una storia, la Storia che ritorna.
D. La fotografia nasconde o rivela?
R. In genere la fotografia viene considerata come espressione di una realtà, o di un pensiero estetico, partendo da un procedimento chimico (l'attività della luce su differenti sostanze) e uno fisico (formazione dell'immagine attraverso l'uso di dispositivi ottici).
Le immagini sono un'illusione della nostra mente e ognuno vede immagini differenti di uno stesso soggetto: ciò che uno vede della realtà esterna lo vede all'interno di se stesso. La straordinarietà di una fotografia è poi l’effetto di suscitare nuove letture.
La fotografia diventa un mezzo quindi per parlare di sé.
Sembra una contraddizione in termini che, usando lo stesso mezzo, alcune persone possano avere un differente risultato, ma indubbiamente è così, perché la capacità, il vissuto, la psicologia, e a volte anche l’umore, possono cambiare completamente una fotografia.
Come uno specchio deformante, la fotografia rivela sicuramente il suo autore; le scelte tecniche come quelle estetiche privilegiano colori, inquadratura, profondità, e parimenti evidenziano la propria sensibilità, intelligenza, modelli ispiratori, e non da ultimo l’approccio alla vita.
Formidabile cosa, questa Fotografia…
D. Sei con noi dal 2008, senza interruzioni, per nostra fortuna :-) Un bilancio della tua esperienza in fotocommunity.
R. Non sono attiva continuativamente in altri siti di fotografia, ho scelto fc come mio virtuale “condominio” in cui vivo ormai da quasi 4 anni.
Il personale bilancio non può essere che positivo, in caso contrario era un attimo fare le valige.
Questa domanda mi offre anche l’opportunità di una illuminante analisi di quello che un luogo virtuale offre in confronto ad un luogo reale.
I rapporti tra utenti, seppure mantenuti sulla fragile piattaforma della sola scrittura (come ho scelto di fare io), diventano al contrario molto forti se passione sincera per la fotografia e affinità si incontrano.
Ho, in questi anni, collaborato con moltissimi utenti, che non cito perché ne scorderei sicuramente qualcuno, e molti di questi sono tra i miei riferimenti fin dai primi giorni.
Presentazioni per mostre reali o virtuali, presentazioni per concorsi anche internazionali, consigli e pareri privati su fotografie, interessanti confronti su qualche “segreto” di tecnica, proposte per esposizioni, oppure, da ultimo e non ultimo, il semplice desiderio di “dire” privatamente, e perciò con più immediatezza, quanto mi ha preso emotivamente quella fotografia o anche, tuffo al cuore, sentirselo dire.
Considero tutto questo molto importante, il vero tesoro di fc.
Poi, qui come nei luoghi reali, si è quello che si è… e, molto più di quel che si creda, indiscutibilmente sotto gli occhi di tutti.
... preziosa per fotocommunity anche la conversazione con te, Lucy!
Grazie!
Le nostre chiacchierate riprenderanno sabato 2 giugno.
Avete quindi molto tempo a vostra disposizione per fare tante domande a Lucy :-)
Grazie!
Le nostre chiacchierate riprenderanno sabato 2 giugno.
Avete quindi molto tempo a vostra disposizione per fare tante domande a Lucy :-)
Grazie Maricla, come sempre interessante e lieve collaborare con te
Complimenti Lucy, un botta e risposta illuminante ...
........ti ammiro moltissimo............
in quel ritratto della Lange si legge direttamente il tuo modo di vedere e fare..............nn poteva essere un'altra la tua fotografa "simbolo"..........
un grande regalo interagire con te, sei "pienezza"....
in quel ritratto della Lange si legge direttamente il tuo modo di vedere e fare..............nn poteva essere un'altra la tua fotografa "simbolo"..........
un grande regalo interagire con te, sei "pienezza"....
20.05.12, 15:26
Messaggio 8 di 42
Lucy, che intervista preziosa, che occasione per avvicinarsi ancora di più al tuo lavoro, per capire oltre le tue fotografie, oltre le tue parole, la persona. Provo stupore e ammirazione ogni qual volta questa tua fluida ed intelligente dialettica interiore prende forma attraverso il tuo sentire in fotografia e al tuo modo di decifrare e ricevere le foto-visioni altrui. Tutto in te sembra fluire con estrema naturalezza, hai talento e indubbie doti. Il tuo lavoro è frutto di intelligenza, volontà, determinazione, senso di libertà e autocoscienza.
E non posso che condividere questa tua: “Perché nessuno può bastare a sé stesso: la passione è, per me, conoscenza.”
Non ho particolari domande, nette e chiare, definite. Più che altro curiosità, interesse a saperne di più.
Trovo il tuo pensare “il dittico” particolarmente interessante nella concezione del piano temporale, visioni che si vestono in poetici ossimori, il percorso è quello dell’intimismo, del tempo interiore, il dittico si trasforma quasi in un palcoscenico teatrale dove dai vita al monologo interiore. Magari, se ti va di raccontarci ancora qualcosa in merito a questa scelta espressiva …
Altra cosa, il “non conosciuto” e il suo “finale aperto”. In generale mi sentirei di dire che per l’uomo il “non conosciuto” è quasi un lamento, un dolore da evitare. Volevo capire se anche per te questo ambito di ricerca si traduce, invece, nell’indagare quello spazio che non si posiziona da subito nitidamente, ma che si trova tra la percezione, l’auto-avvertimento di qualcosa e la sua immediata coscienza. Con affetto, Marcella :)
E non posso che condividere questa tua: “Perché nessuno può bastare a sé stesso: la passione è, per me, conoscenza.”
Non ho particolari domande, nette e chiare, definite. Più che altro curiosità, interesse a saperne di più.
Trovo il tuo pensare “il dittico” particolarmente interessante nella concezione del piano temporale, visioni che si vestono in poetici ossimori, il percorso è quello dell’intimismo, del tempo interiore, il dittico si trasforma quasi in un palcoscenico teatrale dove dai vita al monologo interiore. Magari, se ti va di raccontarci ancora qualcosa in merito a questa scelta espressiva …
Altra cosa, il “non conosciuto” e il suo “finale aperto”. In generale mi sentirei di dire che per l’uomo il “non conosciuto” è quasi un lamento, un dolore da evitare. Volevo capire se anche per te questo ambito di ricerca si traduce, invece, nell’indagare quello spazio che non si posiziona da subito nitidamente, ma che si trova tra la percezione, l’auto-avvertimento di qualcosa e la sua immediata coscienza. Con affetto, Marcella :)
Intervista palpitante,Lucy ha una grande passione. L'intervista la fa scintilllare di saperi e di fantasia, di tecnica e di interpretazioni. E' il pensiero figlio delle sue immagini, o viceversa. Non importa: letture diverse, mezzi diversi, risultati affini. Lucy fotografa, racconta e si racconta. Sincerissimimissimissimi complimenti
@Blve
grazie per essere passato, per me è importante.
grazie per essere passato, per me è importante.
@ Glauco e Ambra
sister....
sai già, ma qui ancora un grazie a entrambi.
sister....
sai già, ma qui ancora un grazie a entrambi.
21.05.12, 07:28
Messaggio 12 di 42
allora due cosette o forse qualcuna di più.
l prima: cosa fai della mia amicizia????? te ne freghi??? brava ed io che ho dedicato un sacco di tempo a darti consigli ... bella gratitudine ... brava .. davvero .. lo sapevo...
ops scusa avevo letto male .. hai scritto fregio non freghi ... come non detto . pardon
la seconda: che belle che sono le tue risposte . mi ci ritrovo in tutto e poi la fotina della Lange è la mia preferita e quello che hai scritto rasenta la commozione
terza coseta: io lo sapevo che se Maricla ti porgeva le sue acute domande tu non avresti risposto ottusa ma in modo retto... sto leggendo un trattato i geometria ..
quarta: la mia nipotina è davero brava
fatte queste iniziali e doverose precisazioni dato che la discussione implica il porre delle domande senza precisare che si ottengano delle risposte ... ecco le mie
1) quando ti compri una macchina con un negativo grosso come un lenzuolo? non se ne può più di un misero 6 x 6 , scusa eh
2) la faccio dopo
ciao nipotina mmbb
l prima: cosa fai della mia amicizia????? te ne freghi??? brava ed io che ho dedicato un sacco di tempo a darti consigli ... bella gratitudine ... brava .. davvero .. lo sapevo...
ops scusa avevo letto male .. hai scritto fregio non freghi ... come non detto . pardon
la seconda: che belle che sono le tue risposte . mi ci ritrovo in tutto e poi la fotina della Lange è la mia preferita e quello che hai scritto rasenta la commozione
terza coseta: io lo sapevo che se Maricla ti porgeva le sue acute domande tu non avresti risposto ottusa ma in modo retto... sto leggendo un trattato i geometria ..
quarta: la mia nipotina è davero brava
fatte queste iniziali e doverose precisazioni dato che la discussione implica il porre delle domande senza precisare che si ottengano delle risposte ... ecco le mie
1) quando ti compri una macchina con un negativo grosso come un lenzuolo? non se ne può più di un misero 6 x 6 , scusa eh
2) la faccio dopo
ciao nipotina mmbb
Ho letto e riletto l’intervista, dalla quale emerge a chiare lettere la tua passione per la fotografia, una passione strettamente connessa col senso di infinitezza che la fotografia offre: la consapevolezza di poter ritrarre tutti i volti, tutta l’umanità, tutte il sentire del mondo, senza confini né limiti, appartiene alla tua fotografia che così “rivela sicuramente il suo autore”. Ed è proprio questa tua capacità di condensare in un’immagine le infinite versioni di ogni evento emozionale che rende ogni tua foto una singolarità che esiste simultaneamente in ogni tempo.
Sinceramente ammirato.
Sinceramente ammirato.
Quando per la prima volta sono andata sul profilo di Lucy ho letto con superficialità, "per me parlano le mie fotografie". Ho pensato che era una scorciatoia di questa fotografa che non si mostra, poi pian piano sono tornato a vedere le sue foto e spessissimo in questi tre anni mi sono dedicato a comprendere la tecnica o il significato.... Poi mi sono semplicemente rilassato ed ho scoperto che Lucy racconta con le immagini; racconta emozioni, sensazioni, ricordi, pensieri, suggestioni. Era vero che è difficile addentrarsi nella sua fotografia e quindi un approccio superficiale potrebbe perfino allontanare dalla sua produzione, ma era vero anche che occorre conoscersi l'itinerario e sforzasi (come forse sempre bisognerebbe fare) di comprendere la persona per capirne la voglia e la meta della rappresentazione che usa la fotografia solo come tecnica perchè l'arte vera è nella forma della presentazione.
Il dittico, con il quale spesso Lucy sublima figurativamente i suoi pensieri, appare un'ulteriore forma di complicazione della rappresentazione. I paradossi e gli incontri, i contrasti e le duplici emozioni. Lucy non è mai banale e per questo potrebbe stancare. Ma forse è il fascino, puramente femminile, di una personalità complessa che si muove con estremo silenzio, quasi con pudore rappresentativo e vuole farsi lentamente scoprire. In questo Lucy è decisamente una donna che fotografa, ma soprattutto una donna che racconta e parla di sè col mezzo fotografico.
..........................
venendo a questo forum coordinato e gestito benissimo da Maricla, devo dire che colpisce tutto, dalla presentazione al dialogo a due voci che sublima ancora una volta la superiorità della sensibilità femminile. Mi colpisce il ritratto dell'autrice preferita che sicuramente al di là di ogni ulteriore commento ha una modernità spaventosa.
Brava Lucy, grazie Maricla
Il dittico, con il quale spesso Lucy sublima figurativamente i suoi pensieri, appare un'ulteriore forma di complicazione della rappresentazione. I paradossi e gli incontri, i contrasti e le duplici emozioni. Lucy non è mai banale e per questo potrebbe stancare. Ma forse è il fascino, puramente femminile, di una personalità complessa che si muove con estremo silenzio, quasi con pudore rappresentativo e vuole farsi lentamente scoprire. In questo Lucy è decisamente una donna che fotografa, ma soprattutto una donna che racconta e parla di sè col mezzo fotografico.
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venendo a questo forum coordinato e gestito benissimo da Maricla, devo dire che colpisce tutto, dalla presentazione al dialogo a due voci che sublima ancora una volta la superiorità della sensibilità femminile. Mi colpisce il ritratto dell'autrice preferita che sicuramente al di là di ogni ulteriore commento ha una modernità spaventosa.
Brava Lucy, grazie Maricla
Grande Lucy