Qui, nella nostra comunità, Vincenzo Caniparoli
è presenza discreta ma importante, per la capacità di comunicazione poetica che le sue fotografie hanno, e per la continua, intelligente, ragionata ricerca che vi è alla base, frutto di curiosità e presupposto di evoluzione.
Fotografie pervase da silenzi, grandi spazi , e solitari, presenze umane discrete, colori attinti ad una visione rarefatta del mondo, dove è più visibile l'essenza del concetto, che il concetto stesso.
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Fotografie pervase da silenzi, grandi spazi , e solitari, presenze umane discrete, colori attinti ad una visione rarefatta del mondo, dove è più visibile l'essenza del concetto, che il concetto stesso.
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D -- Musica + astronomia + fotografia : quale il fil rouge che le unisce nel tuo caso? Quanta parte ha la fotografia tra queste tue passioni, e quanta nella tua vita?
R -- In realtà non esiste un vero e proprio fil rouge che le unisca, sono tre delle cose che hanno avuto un ruolo importante nella mia formazione come persona.
Fin da bambino sono stato sempre affascinato dal cielo stellato ed ho iniziato a fotografare proprio grazie all'astronomia. L'astrofotografia è stato il mio primo campo di apprendimento tecnico, anche se il mio interesse per la fotografia, seppur non pratico, è iniziato molto prima.
La musica, ed in particolare il mio strumento, il basso, credo che incarni un lato della mia personalità, le mie ambizioni: concrete e umili, nascoste ma efficaci
Le nottate trascorse in montagna con telescopio, fotocamera e chitarra sono ancora tra i miei ricordi più indelebili.
Negli anni ho gradualmente trascurato, ma non dimenticato, quegli strumenti, solo la fotocamera e' rimasta l'unica testimone dei tanti momenti della mia vita, ma non ho ancora realizzato se poter vivere o meno senza di essa.
Nella vita mi sono sempre occupato ed interessato di molteplici cose, nel momento attuale è la fotografia ad appassionarmi in maniera particolare, ma non saprei dire se sarà così anche nel futuro più o meno prossimo.
La mia avventura fotografica potrebbe durare per tutta la vita come finire domani.
R -- In realtà non esiste un vero e proprio fil rouge che le unisca, sono tre delle cose che hanno avuto un ruolo importante nella mia formazione come persona.
Fin da bambino sono stato sempre affascinato dal cielo stellato ed ho iniziato a fotografare proprio grazie all'astronomia. L'astrofotografia è stato il mio primo campo di apprendimento tecnico, anche se il mio interesse per la fotografia, seppur non pratico, è iniziato molto prima.
La musica, ed in particolare il mio strumento, il basso, credo che incarni un lato della mia personalità, le mie ambizioni: concrete e umili, nascoste ma efficaci
Le nottate trascorse in montagna con telescopio, fotocamera e chitarra sono ancora tra i miei ricordi più indelebili.
Negli anni ho gradualmente trascurato, ma non dimenticato, quegli strumenti, solo la fotocamera e' rimasta l'unica testimone dei tanti momenti della mia vita, ma non ho ancora realizzato se poter vivere o meno senza di essa.
Nella vita mi sono sempre occupato ed interessato di molteplici cose, nel momento attuale è la fotografia ad appassionarmi in maniera particolare, ma non saprei dire se sarà così anche nel futuro più o meno prossimo.
La mia avventura fotografica potrebbe durare per tutta la vita come finire domani.
D -- Cito da Ferdinando Scianna: "La fotografia è una rivoluzione copernicana, per la prima volta attraverso una mediazione di carattere ottico meccanico si realizzano delle immagini che non sono fatte dall'uomo ma prelevate attraverso questo apparato. Dentro questo puro prelievo ci sono tali e tanti elementi di soggettività che lo hanno fatto diventare un linguaggio e non soltanto una tecnica (in "La fotografia in Italia" - Contrasto).
Giro quindi a te la domanda: nella parola "fotografia" ( suggerita da Sir John Herschel) c'è tutta l'ambiguità della faccenda...fotografia scrittura di luce, o fotografia scrittura con la luce ?
R -- Trovo che sia proprio nel passaggio da tecnica a tecnologia, fino ad arrivare a una vera e propria forma di linguaggio, che stia il fulcro della questione; l'approccio alla fotografia subisce una metamorfosi, da disciplina puramente tecnica diviene man mano una vera e propria forma di espressione “autoriale”, sempre più consapevole e raffinata.
Credo che “ l'istante”, parola oggi pronunciata così spesso, cospiri molto alla diluizione del ruolo della luce in favore di chi “scrive” con essa.
Oggi inchiodiamo istanti di fuggevole realtà in frazioni di tempo millesimali e poco ci curiamo del fenomeno fisico che sta alla base di tutto questo: l'attore principale e' il fotografo. L'azione della luce è ingabbiata nella "macchina che scrive con la luce" e declassata a semplice utensile creativo, del resto tutti consideriamo protagonista assoluto delle sue opere Michelangelo,non il suo scalpello.
Diversamente Niépce, Fox Talbot o Herschel non erano forse i protagonisti delle loro opere? Certo che lo erano, ma in modo diverso.
A mio avviso l'impatto di queste grandi figure, non come scienziati e inventori, ma come fotografi, almeno con l'accezione che diamo oggi alla parola, era più marginale.
Agli albori della fotografia il fotografo piazzava la sua attrezzatura davanti a ciò che voleva riprendere ed aspettava, letteralmente (in alcuni casi diverse ore), che la luce "scrivesse".
In questo caso era la luce la principale protagonista, ma solo perché mancava ancora la tecnologia adeguata capace di accendere la consapevolezza nelle potenzialità del mezzo.
In conclusione, io ritengo che la fotografia sia “scrittura con la luce”, ma ciò non invalida la definizione di Herschel, l'una non esclude l'altra: la differenza sta nella consapevolezza dell'approccio.
Giro quindi a te la domanda: nella parola "fotografia" ( suggerita da Sir John Herschel) c'è tutta l'ambiguità della faccenda...fotografia scrittura di luce, o fotografia scrittura con la luce ?
R -- Trovo che sia proprio nel passaggio da tecnica a tecnologia, fino ad arrivare a una vera e propria forma di linguaggio, che stia il fulcro della questione; l'approccio alla fotografia subisce una metamorfosi, da disciplina puramente tecnica diviene man mano una vera e propria forma di espressione “autoriale”, sempre più consapevole e raffinata.
Credo che “ l'istante”, parola oggi pronunciata così spesso, cospiri molto alla diluizione del ruolo della luce in favore di chi “scrive” con essa.
Oggi inchiodiamo istanti di fuggevole realtà in frazioni di tempo millesimali e poco ci curiamo del fenomeno fisico che sta alla base di tutto questo: l'attore principale e' il fotografo. L'azione della luce è ingabbiata nella "macchina che scrive con la luce" e declassata a semplice utensile creativo, del resto tutti consideriamo protagonista assoluto delle sue opere Michelangelo,non il suo scalpello.
Diversamente Niépce, Fox Talbot o Herschel non erano forse i protagonisti delle loro opere? Certo che lo erano, ma in modo diverso.
A mio avviso l'impatto di queste grandi figure, non come scienziati e inventori, ma come fotografi, almeno con l'accezione che diamo oggi alla parola, era più marginale.
Agli albori della fotografia il fotografo piazzava la sua attrezzatura davanti a ciò che voleva riprendere ed aspettava, letteralmente (in alcuni casi diverse ore), che la luce "scrivesse".
In questo caso era la luce la principale protagonista, ma solo perché mancava ancora la tecnologia adeguata capace di accendere la consapevolezza nelle potenzialità del mezzo.
In conclusione, io ritengo che la fotografia sia “scrittura con la luce”, ma ciò non invalida la definizione di Herschel, l'una non esclude l'altra: la differenza sta nella consapevolezza dell'approccio.
D -- Nei tuoi dittici la leggerezza sconfina nell'etereo, portando con sé grande comunicazione poetica.
Trasmettono una visione del mondo destrutturata, alla ricerca del segno ultimo della rappresentazione. C'è una ricerca in evoluzione, in questi per esempio c'è un lavoro che procede di pari passo con i versi di Leonetti "Sopra una perduta estate"
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Trasmettono una visione del mondo destrutturata, alla ricerca del segno ultimo della rappresentazione. C'è una ricerca in evoluzione, in questi per esempio c'è un lavoro che procede di pari passo con i versi di Leonetti "Sopra una perduta estate"
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Come nasce questo progetto? Esiste quindi una affinità elettiva tra immagini e parole?
R -- Il progetto nasce direttamente dopo aver visto i primi negativi a colori scattati con la Holga nel settembre 2009 in Sardegna.
Fino ad allora avevo un interesse quasi esclusivo per il bianco e nero, con il colore proprio non riuscivo ad ottenere l'emotività che desideravo; con il tempo mi sono poi accorto che il problema era solo quello di arricchire il mio vocabolario fotografico.
I colori leggeri, quasi desaturati, uniti al tipico sfocato Lo-Fi, avevano una sensibilità particolare, così si materializzò nella mia testa l'idea della perduta estate: il titolo originario era
-Dopo una perduta estate-.
Successivamente, durante una ricerca sul web, sono venuto a conoscenza della raccolta di poesie di Francesco Leonetti -Sopra una perduta estate- e, leggendo il libro, ho trovato che il tema della "malinconia di quanto si e' perso" si sposasse bene con l'atmosfera delle mie immagini; da qui nasce il titolo definitivo e il parallelo, volutamente non sempre aderente, con quello che evocano in me quei versi .
Esiste certamente un'affinità tra parole e immagini, cosi' come tra parole e musica, e come tra tutte le forme di linguaggio: esse non sono chiuse in camere stagne, ognuna può sfociare nell'altra, contaminandola.
Quello fotografico e' un linguaggio che spesso riesce a dire come fanno le parole, non dobbiamo aspettarci però che le fotografie parlino : dicono, ma non parlano.
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Come nasce questo progetto? Esiste quindi una affinità elettiva tra immagini e parole?
R -- Il progetto nasce direttamente dopo aver visto i primi negativi a colori scattati con la Holga nel settembre 2009 in Sardegna.
Fino ad allora avevo un interesse quasi esclusivo per il bianco e nero, con il colore proprio non riuscivo ad ottenere l'emotività che desideravo; con il tempo mi sono poi accorto che il problema era solo quello di arricchire il mio vocabolario fotografico.
I colori leggeri, quasi desaturati, uniti al tipico sfocato Lo-Fi, avevano una sensibilità particolare, così si materializzò nella mia testa l'idea della perduta estate: il titolo originario era
-Dopo una perduta estate-.
Successivamente, durante una ricerca sul web, sono venuto a conoscenza della raccolta di poesie di Francesco Leonetti -Sopra una perduta estate- e, leggendo il libro, ho trovato che il tema della "malinconia di quanto si e' perso" si sposasse bene con l'atmosfera delle mie immagini; da qui nasce il titolo definitivo e il parallelo, volutamente non sempre aderente, con quello che evocano in me quei versi .
Esiste certamente un'affinità tra parole e immagini, cosi' come tra parole e musica, e come tra tutte le forme di linguaggio: esse non sono chiuse in camere stagne, ognuna può sfociare nell'altra, contaminandola.
Quello fotografico e' un linguaggio che spesso riesce a dire come fanno le parole, non dobbiamo aspettarci però che le fotografie parlino : dicono, ma non parlano.
D -- Tra i tuoi strumenti fotografici un posto a parte ha la pinhole:
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cosa entra in quel foro di te, oltre all'immagine che inquadri?
R -- Entra e si realizza il desiderio di creare un prodotto artigianale quasi esclusivamente da solo, dalla costruzione della fotocamera alla stampa, senza intermediazioni (se si esclude la pellicola negativa, che non ho ancora provato a produrre).
Mettendola, con autoironia, sul lirico, credo che in essa trovi sfogo la parte irrazionale del mio carattere. In senso strettamente visivo, il foro mi consente di frantumare la cosiddetta realtà, e passeggiare fotograficamente in distorti e dissonanti "mondi paralleli", sempre nuovi, carenti di quelle strutture logiche e coerenti che ci aspettiamo di trovare in un'immagine.
Personalmente credo che in fotografia il concetto di “reale”, se analizzato finemente, sia una speculazione prettamente soggettiva.
Tengo comunque a precisare che il mio interesse per il foro stenopeico è rivolto al suo utilizzo come strumento per fare fotografia, non al mezzo fine a se stesso e a tutta la pseudo-filosofia che spesso l'accompagna: mi interessa ciò che mi permette di fare, mi regala quell'indeterminazione e quell'incoerenza che insaporisce il gusto di praticare questa tecnica.
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cosa entra in quel foro di te, oltre all'immagine che inquadri?
R -- Entra e si realizza il desiderio di creare un prodotto artigianale quasi esclusivamente da solo, dalla costruzione della fotocamera alla stampa, senza intermediazioni (se si esclude la pellicola negativa, che non ho ancora provato a produrre).
Mettendola, con autoironia, sul lirico, credo che in essa trovi sfogo la parte irrazionale del mio carattere. In senso strettamente visivo, il foro mi consente di frantumare la cosiddetta realtà, e passeggiare fotograficamente in distorti e dissonanti "mondi paralleli", sempre nuovi, carenti di quelle strutture logiche e coerenti che ci aspettiamo di trovare in un'immagine.
Personalmente credo che in fotografia il concetto di “reale”, se analizzato finemente, sia una speculazione prettamente soggettiva.
Tengo comunque a precisare che il mio interesse per il foro stenopeico è rivolto al suo utilizzo come strumento per fare fotografia, non al mezzo fine a se stesso e a tutta la pseudo-filosofia che spesso l'accompagna: mi interessa ciò che mi permette di fare, mi regala quell'indeterminazione e quell'incoerenza che insaporisce il gusto di praticare questa tecnica.
D -- Evidente nel tuo percorso fotografico l'influenza di un Maestro come Ghirri e il suo "guardare alla fotografia come a un modo di relazionarsi con mondo, nel quale il segno di chi fa fotografia, quindi la sua storia personale, il suo rapporto con l'esistente, è si molto forte, ma deve orientarsi, attraverso un lavoro sottile, quasi alchemico, all'individuazione di un punto di equilibrio tra la nostra interiorità - il mio interno di fotografo-persona - e cio che sta all'esterno, che vive al di fuori di noi, che continua a esistere senza di noi e continuerà a esistere anche quando avremo finito di fare fotografia."
In che circostanza Ghirri è diventato per te un fotografo a cui guardare?
R -- Non esiste una circostanza ben definita.
Nel 2008 mi sentivo fotograficamente ad un punto morto, avevo preso vicoli ciechi e sentivo che la mia fotografia non andava da nessuna parte. Mi sforzavo di far salire di un gradino la mia maturità, ma mi mancava un certo tipo di cultura fotografica per farlo.
Avevo già certi miei riferimenti fotografici, ma avevo bisogno di un nuovo modo di guardare alle cose e, per colmare questa lacuna, mi sono messo a "studiare" e frequentare i luoghi dove la fotografia realmente, non virtualmente, si fa; inevitabile quindi imbattersi in Luigi Ghirri.
Fare la sua conoscenza, e approfondirla, mi ha insegnato a recuperare il contatto diretto, quasi affettivo, con il mondo che ho intorno, non alterato da stereotipi fotografici esasperati. E' stato un riemergere in una nuova realtà e saper guardarla con occhi nuovi, meravigliati di quanto straordinario ci sia nell'ordinario.
L'influenza di Ghirri, così come quella di altri autori, ha contribuito alla mia formazione e maturazione, è chiaro quindi che nelle mie fotografie ve ne sia l'impronta, cerco però di rivedere con i miei occhi i lavori dei maestri, per sviluppare il mio stile personale.
In che circostanza Ghirri è diventato per te un fotografo a cui guardare?
R -- Non esiste una circostanza ben definita.
Nel 2008 mi sentivo fotograficamente ad un punto morto, avevo preso vicoli ciechi e sentivo che la mia fotografia non andava da nessuna parte. Mi sforzavo di far salire di un gradino la mia maturità, ma mi mancava un certo tipo di cultura fotografica per farlo.
Avevo già certi miei riferimenti fotografici, ma avevo bisogno di un nuovo modo di guardare alle cose e, per colmare questa lacuna, mi sono messo a "studiare" e frequentare i luoghi dove la fotografia realmente, non virtualmente, si fa; inevitabile quindi imbattersi in Luigi Ghirri.
Fare la sua conoscenza, e approfondirla, mi ha insegnato a recuperare il contatto diretto, quasi affettivo, con il mondo che ho intorno, non alterato da stereotipi fotografici esasperati. E' stato un riemergere in una nuova realtà e saper guardarla con occhi nuovi, meravigliati di quanto straordinario ci sia nell'ordinario.
L'influenza di Ghirri, così come quella di altri autori, ha contribuito alla mia formazione e maturazione, è chiaro quindi che nelle mie fotografie ve ne sia l'impronta, cerco però di rivedere con i miei occhi i lavori dei maestri, per sviluppare il mio stile personale.
D -- Il tuo prossimo progetto fotografico in agenda
R -- La prima cosa che ho in agenda è portare avanti “Sopra una perduta estate”: è una serie a cui tengo e che credo meriti un'ulteriore maturazione, senza l'incertezza
del primo periodo e con una struttura più solida e concreta.
Ritengo sia il mio miglior lavoro, ma che debba ancora crescere per qualche anno, per poter affrontare un severo lavoro di editing, e poi magari sfociare in una mostra.
Per quanto riguarda progetti ulteriori, ho un'agenda piena di idee e appunti, vecchi e nuovi.
Un progetto in particolare che vorrei riprendere, già abbozzato in precedenza, si chiama Oggettivi Contemporanei ed è incentrato sulla tendenza che ha l'uomo, con i suoi comportamenti, a non voler entrare in armonia con l'ambiente, anzi la sua tendenza non a rifiutarlo, bensì a rovinarlo, quasi fosse l'infantile gesto di far pagare alla natura innocente le proprie colpe.
Una violenza che forse nasce dalla sua odierna, consapevole inadeguatezza a ristabilire una relazione con l'ambiente stesso.
E' comunque un progetto in embrione di cui ho ben chiari solo il contesto ed i contenuti, ma di cui devo ancora stabilire i canoni formali.
R -- La prima cosa che ho in agenda è portare avanti “Sopra una perduta estate”: è una serie a cui tengo e che credo meriti un'ulteriore maturazione, senza l'incertezza
del primo periodo e con una struttura più solida e concreta.
Ritengo sia il mio miglior lavoro, ma che debba ancora crescere per qualche anno, per poter affrontare un severo lavoro di editing, e poi magari sfociare in una mostra.
Per quanto riguarda progetti ulteriori, ho un'agenda piena di idee e appunti, vecchi e nuovi.
Un progetto in particolare che vorrei riprendere, già abbozzato in precedenza, si chiama Oggettivi Contemporanei ed è incentrato sulla tendenza che ha l'uomo, con i suoi comportamenti, a non voler entrare in armonia con l'ambiente, anzi la sua tendenza non a rifiutarlo, bensì a rovinarlo, quasi fosse l'infantile gesto di far pagare alla natura innocente le proprie colpe.
Una violenza che forse nasce dalla sua odierna, consapevole inadeguatezza a ristabilire una relazione con l'ambiente stesso.
E' comunque un progetto in embrione di cui ho ben chiari solo il contesto ed i contenuti, ma di cui devo ancora stabilire i canoni formali.
Suggestivo e interessantissimo questo viaggio nella poetica fotografica di Vincenzo, a cui vanno infiniti grazie per la gentilissima collaborazione e per la sua grande lezione di stile.
Il nostro prossimo Ospite dalle tele dei grandi pittori impara le regole della composizione, fino a sublimarle in fotografia.
Paesaggi sconfinati, colori in cui si percepisce verità e suggestione, la bellezza insita nelle regole diventa il movente stesso e lo scopo della sua fotografia
“ Maledetto colui che ha inventato il “Program”! Mi spiego. Conosco “fotografi” che alla parola diaframma pensano o ad una parte del corpo umano o a qualcos’altro… Vedo foto eseguite senza la minima conoscenza della tecnica di base (…) troppo spesso mi capita di osservare foto in cui il soggetto ritratto non è a fuoco, e/o magari lo stesso è collocato nella parte centrale del frame senza badare al contesto e al racconto. (…)e quel che è peggio è che tutti questi, che formalmente sono indiscutibilmente dei difetti , sono invece eletti a spunti creativi innovativi e fondanti.”
Approfondiremo questo discorso assolutamente pieno di tracce da seguire col nostro Ospite tra 15 giorni.
Il nostro prossimo Ospite dalle tele dei grandi pittori impara le regole della composizione, fino a sublimarle in fotografia.
Paesaggi sconfinati, colori in cui si percepisce verità e suggestione, la bellezza insita nelle regole diventa il movente stesso e lo scopo della sua fotografia
“ Maledetto colui che ha inventato il “Program”! Mi spiego. Conosco “fotografi” che alla parola diaframma pensano o ad una parte del corpo umano o a qualcos’altro… Vedo foto eseguite senza la minima conoscenza della tecnica di base (…) troppo spesso mi capita di osservare foto in cui il soggetto ritratto non è a fuoco, e/o magari lo stesso è collocato nella parte centrale del frame senza badare al contesto e al racconto. (…)e quel che è peggio è che tutti questi, che formalmente sono indiscutibilmente dei difetti , sono invece eletti a spunti creativi innovativi e fondanti.”
Approfondiremo questo discorso assolutamente pieno di tracce da seguire col nostro Ospite tra 15 giorni.
Un’ennesima piacevole scoperta grazie all’inesauribile vena da Scout di creatività e comunicatività di Lucy…
Immergendomi nella contemplazione dei tuoi scatti vengo assalito da una sensazione e cioè che la presenza umana sia soggetto ma elemento costruttivo di una trama. Pratogonista attraverso la sua azione più che nel suo essere... “Sogni di Sogni”
[fc-foto:28138864]
mi appare emblematico di questa situazione dove la staticità dell’elemento umano sembra essere quasi paletto o indicazione ad andare oltre… a guidare lo sguardo più in là dove di solito si trova una natura ubertosa o malinconica… o ancora aprirsi a strutture geometrico ingegneristiche come in “Codici Inutili”
[fc-foto:27753775]
o “percorsi Logici”
[fc-foto:27736932]
La curiosità che mi sorge è quindi quale sia, nel tuo percorso creativo, l’approccio con la figura umana… cosa significhi per te al fine dello scatto finale.
Grazie per questa bella intervista a te che hai condiviso con noi la tua avventura ed ovviamente alla sempre attenta Lucy!
Immergendomi nella contemplazione dei tuoi scatti vengo assalito da una sensazione e cioè che la presenza umana sia soggetto ma elemento costruttivo di una trama. Pratogonista attraverso la sua azione più che nel suo essere... “Sogni di Sogni”
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mi appare emblematico di questa situazione dove la staticità dell’elemento umano sembra essere quasi paletto o indicazione ad andare oltre… a guidare lo sguardo più in là dove di solito si trova una natura ubertosa o malinconica… o ancora aprirsi a strutture geometrico ingegneristiche come in “Codici Inutili”
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o “percorsi Logici”
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La curiosità che mi sorge è quindi quale sia, nel tuo percorso creativo, l’approccio con la figura umana… cosa significhi per te al fine dello scatto finale.
Grazie per questa bella intervista a te che hai condiviso con noi la tua avventura ed ovviamente alla sempre attenta Lucy!
17.12.12, 11:13
Messaggio 14 di 26
Ciao Vincenzo è un piacere leggerti, imparo qualcosa di più oggi, oltre alle lezioni che apprendo al solo guardare le tue fotografie, che hanno un'essenza profonda, mi sembra quasi di sminuirle chiamandole solo fotografie, sono poesie fotografiche, delle piccole miniature del nostro mondo, dove esiste sempre quel tuo sguardo lontano, quel tuo guardare oltre. Ogni volta che appaiono in questo sito, per me sono un respiro nuovo, leggero, dolci apparizioni, piccoli miracoli, ed esclamo a voce alta: "Che "robe" che fa il Caniparoli!" tanto che qui in casa ormai ti conoscono tutti:)). Mi piace molto il tuo studiare, la tua fermezza, il tuo procedere così impegnato e attento ai tuoi progetti.
La fotografia credo non ti abbandonerà mai, perderebbe senza altro un "maestro" importante, un collezionista d'immagini perdute che a volte sembrano appartenere veramente a luoghi inesistenti. Ricordo le tue parole, che cerco di applicare alla mia fotografia, - devi guardare il mondo come da una finestra -.
Per me sei sempre fonte d'ispirazione, cerco di cogliere la tua essenza, il tuo guardare, noi in fondo non siamo fatti solo di noi stessi ma di tanti gesti e parole e fotografie e visioni, d'incontri bellissimi che ci si presentano nella nostra vita. Tu sei un incontro fotografico bellissimo.
Ti faccio una domanda (venale:) che faccio quasi a tutti. Ti è capitato di vendere le tue foto? E se sì quanto ti è costato separartene?
Intanto un caro abbraccio e buon cammino di luce, caro dolce amico...
La fotografia credo non ti abbandonerà mai, perderebbe senza altro un "maestro" importante, un collezionista d'immagini perdute che a volte sembrano appartenere veramente a luoghi inesistenti. Ricordo le tue parole, che cerco di applicare alla mia fotografia, - devi guardare il mondo come da una finestra -.
Per me sei sempre fonte d'ispirazione, cerco di cogliere la tua essenza, il tuo guardare, noi in fondo non siamo fatti solo di noi stessi ma di tanti gesti e parole e fotografie e visioni, d'incontri bellissimi che ci si presentano nella nostra vita. Tu sei un incontro fotografico bellissimo.
Ti faccio una domanda (venale:) che faccio quasi a tutti. Ti è capitato di vendere le tue foto? E se sì quanto ti è costato separartene?
Intanto un caro abbraccio e buon cammino di luce, caro dolce amico...
Ciao Maurizio,
in senso generale approccio la fotografia come fosse un dialogo; il dialogo è spesso tra ambiente e figura umana, che è quasi sempre presente, anche se in modi diversi.
Raramente utilizzo la figura umana intera ed in primo piano, e nel caso, tendo a ritrarla di proporzioni minute, o di spalle, col volto nascosto dalle mani o dai capelli ecc.., questo per mitigarne la potenza fotografica, che naturalmente è insita nel soggetto umano, ma ciò ha anche un intento concettuale:
seppur in qualche misura "depersonalizzata", con la sua semplice presenza, la figura umana, riesce a frantumare il contesto e ad interromperne la naturale apparente regolarità, è come un neo in esso, pur essendone parte integrante.
L’intento non è quello di descrivere l'individuo, ma di generalizzare l'uomo come concetto universale.
La depersonalizzazione è usata anche ad un livello esistenziale: l'uomo, seppur essere razionale e padrone della propria conoscenza, in molti casi non è consapevole degli aspetti più intimi ed innati che lo legano all'ambiente.
Per certi versi l'uomo moderno risulta solo un semplice spettatore della propria inadeguatezza attuale nello stabilire un rapporto mutuale con il contesto, di cui fa parte.
In ogni caso la figura umana risulta misura del luogo in cui è inserita e l’ambiente, che sia urbano, moderno, post-industriale o rurale, assume il ruolo di protagonista.
A prescindere dalla sua tipologia, il contesto, è comunque umanizzato, in varia misura modificato e segnato dall’uomo, il legame col quale è il fulcro del messaggio.
Grazie infinite per la tua attenzione
in senso generale approccio la fotografia come fosse un dialogo; il dialogo è spesso tra ambiente e figura umana, che è quasi sempre presente, anche se in modi diversi.
Raramente utilizzo la figura umana intera ed in primo piano, e nel caso, tendo a ritrarla di proporzioni minute, o di spalle, col volto nascosto dalle mani o dai capelli ecc.., questo per mitigarne la potenza fotografica, che naturalmente è insita nel soggetto umano, ma ciò ha anche un intento concettuale:
seppur in qualche misura "depersonalizzata", con la sua semplice presenza, la figura umana, riesce a frantumare il contesto e ad interromperne la naturale apparente regolarità, è come un neo in esso, pur essendone parte integrante.
L’intento non è quello di descrivere l'individuo, ma di generalizzare l'uomo come concetto universale.
La depersonalizzazione è usata anche ad un livello esistenziale: l'uomo, seppur essere razionale e padrone della propria conoscenza, in molti casi non è consapevole degli aspetti più intimi ed innati che lo legano all'ambiente.
Per certi versi l'uomo moderno risulta solo un semplice spettatore della propria inadeguatezza attuale nello stabilire un rapporto mutuale con il contesto, di cui fa parte.
In ogni caso la figura umana risulta misura del luogo in cui è inserita e l’ambiente, che sia urbano, moderno, post-industriale o rurale, assume il ruolo di protagonista.
A prescindere dalla sua tipologia, il contesto, è comunque umanizzato, in varia misura modificato e segnato dall’uomo, il legame col quale è il fulcro del messaggio.
Grazie infinite per la tua attenzione