Virgilio Fidanza
Virgilio Fidanza nasce a Bergamo nel 1953, fotografo professionista dall’81, si occupa di fotografia industriale e pubblicitaria, collabora a cataloghi e documentazione per artisti, gallerie ecc.
Questa attività professionale è spesso affiancata dalla partecipazione a eventi espositivi collettivi e personali.
Dall’87 al ’93 ha dedicato parte della sua attività all’insegnamento in Istituti professionali.
Negli anni 2000/2001 è docente di fotografia presso l’Accademia Carrara di Belle Arti a Bergamo, e nel 2003/2004 è docente all’Accademia di Belle Arti Lorenzo Lotto di Bergamo.
Associato S.I.A.F. (Associazione Fotografi Professionisti ), è stato membro della Presidenza Nazionale dal ’96 al 2003, e coordinatore nazionale dell’area culturale e curatore degli eventi espositivi di “Orvieto Fotografia”,dal ’98 al 2003.
Nel 2006 tiene un Workshop , dal titolo:“Lo Sguardo Incantato” alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo e all’Istituto Golgi di Brescia.
Nel 2013 tiene un corso dal titolo “dall’albero mitologico all’immagine tecnologica” al Politecnico di Beilun in Cina.
Un numero imprecisato di mostre di cui l’ultima, nel 2015, “cucina casalinga” a Bergamo.
Un numero imprecisato di pubblicazioni, di cui l’ultima “+corpiriuniti”, editore Lubrina.
E’ stato ideatore e organizzatore di “naturaLmente” evento artistico nella valle del Lujo (Bg).
Dal 2006 è docente di Fotografia alla Libera Accademia di Belle Arti di Brescia (LABA) e coordinatore del Dipartimento di Fotografia.
Questa attività professionale è spesso affiancata dalla partecipazione a eventi espositivi collettivi e personali.
Dall’87 al ’93 ha dedicato parte della sua attività all’insegnamento in Istituti professionali.
Negli anni 2000/2001 è docente di fotografia presso l’Accademia Carrara di Belle Arti a Bergamo, e nel 2003/2004 è docente all’Accademia di Belle Arti Lorenzo Lotto di Bergamo.
Associato S.I.A.F. (Associazione Fotografi Professionisti ), è stato membro della Presidenza Nazionale dal ’96 al 2003, e coordinatore nazionale dell’area culturale e curatore degli eventi espositivi di “Orvieto Fotografia”,dal ’98 al 2003.
Nel 2006 tiene un Workshop , dal titolo:“Lo Sguardo Incantato” alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo e all’Istituto Golgi di Brescia.
Nel 2013 tiene un corso dal titolo “dall’albero mitologico all’immagine tecnologica” al Politecnico di Beilun in Cina.
Un numero imprecisato di mostre di cui l’ultima, nel 2015, “cucina casalinga” a Bergamo.
Un numero imprecisato di pubblicazioni, di cui l’ultima “+corpiriuniti”, editore Lubrina.
E’ stato ideatore e organizzatore di “naturaLmente” evento artistico nella valle del Lujo (Bg).
Dal 2006 è docente di Fotografia alla Libera Accademia di Belle Arti di Brescia (LABA) e coordinatore del Dipartimento di Fotografia.
D - Scianna ha affermato che il destino della Fotografia è segnato. Che importanza ha oggi la Fotografia come modus comunicandi, grazie o nonostante il mare magnum di immagini che indiscriminatamente ci investono ogni giorno?
R - Il destino della fotografia stava già inscritto nella sua genesi, cioè la fotografia non poteva che essere l'espressione visiva e ideologica della capacità produttiva dell'industria, oppure detto in altro modo: la sua legittimazione scientifica.
Intendo il termine fotografia come processo tecnologico, come apparato atto alla creazione di immagini tecnologiche, aventi la caratteristica di – apparire – fedeli al reale.
Da questo punto di vista la fotografia è inscritta a pieno titolo nel mondo della produzione industriale su vasta scala e in quantità sempre più crescenti. Le immagini tecnologiche quindi, non solo assolvono, grazie alla loro credibilità, un ruolo fondamentale nei meccanismi che producono consenso sociale, ma sono fin dal loro inizio delle merci.
Come prodotto industriale l'apparato tecnologico fotografico quindi non poteva che innovarsi costantemente, non essendo da meno di ogni altro processo tecnologico per la produzione di merci.
A New York già a metà ottocento si contavano ben più di ottanta studi fotografici e durante la prima esposizione universale del 1851, Great Exhibition (ovvero la grande esposizione delle opere dell'industria di tutte le nazioni), furono esposte ben 700 immagini realizzate con tecniche differenti. Da notare come in quegli anni, quando si parla di fotografia, si parla di industria fotografica.
D'altra parte quale altro mezzo, di così facile e immediata comprensione per tutti, avrebbe potuto celebrare meglio lo sviluppo industriale e la società di massa?
Lo statuto di autenticità che fin da subito fu assegnato alla fotografia superava ogni altro mezzo, ma forse oggi la cosa è mutata?
Come ignorare che, a fronte di una diffusione quantitativa e imponente di immagini fotografiche, esiste un analfabetismo di massa nei confronti dell'immagine tecnologica? ( - Per una filosofia della fotografia - V. Flusser )
Non è strabiliante che milioni di analfabeti visivi producano ogni giorno milioni di immagini?
Ma non è forse ancor più strabiliante che l'onnivoro mercato capitalista riesca a nutrirsi di queste immagini? E non è forse sotto gli occhi di tutti la capacità di questo mercato di nutrirsi persino di immagini che mostrano guerre ed “effetti collaterali”, povertà e ingiustizia sociale?
La comunicazione è un prodotto, una merce, e le disgrazie dell'umanità e del pianeta sono sempre un'ottima occasione per fare mercato. Quindi non capisco quando Scianna afferma che il destino della fotografia è segnato, come se intendesse il suo avviarsi al declino, perché tutto sembra andare ancora in modo molto spedito verso lo sviluppo, seppure esso sia scellerato e autodistruggente.
Oppure, forse, Scianna si riferisce al destino dell'aura che ha caratterizzato sin qui la fotografia, e quindi al suo tramonto. Ma l'aura non sta tramontando, perché non è stata minimamente scalfita dal mutamento tecnologico, e allora forse stiamo assistendo al tramonto di una dimensione romantica che ha contrassegnato alcune élites di autori e di apparati critici della fotografia.
E come sempre i romantici, mentre gli altri stanno nella merda fino al collo, sono in grado di soffermarsi sul fiorellino che sta poco più in là. Vedono altro! Ultima modifica di lucy franco il 28.11.16, 10:48, modificato 1 volta in totale.
R - Il destino della fotografia stava già inscritto nella sua genesi, cioè la fotografia non poteva che essere l'espressione visiva e ideologica della capacità produttiva dell'industria, oppure detto in altro modo: la sua legittimazione scientifica.
Intendo il termine fotografia come processo tecnologico, come apparato atto alla creazione di immagini tecnologiche, aventi la caratteristica di – apparire – fedeli al reale.
Da questo punto di vista la fotografia è inscritta a pieno titolo nel mondo della produzione industriale su vasta scala e in quantità sempre più crescenti. Le immagini tecnologiche quindi, non solo assolvono, grazie alla loro credibilità, un ruolo fondamentale nei meccanismi che producono consenso sociale, ma sono fin dal loro inizio delle merci.
Come prodotto industriale l'apparato tecnologico fotografico quindi non poteva che innovarsi costantemente, non essendo da meno di ogni altro processo tecnologico per la produzione di merci.
A New York già a metà ottocento si contavano ben più di ottanta studi fotografici e durante la prima esposizione universale del 1851, Great Exhibition (ovvero la grande esposizione delle opere dell'industria di tutte le nazioni), furono esposte ben 700 immagini realizzate con tecniche differenti. Da notare come in quegli anni, quando si parla di fotografia, si parla di industria fotografica.
D'altra parte quale altro mezzo, di così facile e immediata comprensione per tutti, avrebbe potuto celebrare meglio lo sviluppo industriale e la società di massa?
Lo statuto di autenticità che fin da subito fu assegnato alla fotografia superava ogni altro mezzo, ma forse oggi la cosa è mutata?
Come ignorare che, a fronte di una diffusione quantitativa e imponente di immagini fotografiche, esiste un analfabetismo di massa nei confronti dell'immagine tecnologica? ( - Per una filosofia della fotografia - V. Flusser )
Non è strabiliante che milioni di analfabeti visivi producano ogni giorno milioni di immagini?
Ma non è forse ancor più strabiliante che l'onnivoro mercato capitalista riesca a nutrirsi di queste immagini? E non è forse sotto gli occhi di tutti la capacità di questo mercato di nutrirsi persino di immagini che mostrano guerre ed “effetti collaterali”, povertà e ingiustizia sociale?
La comunicazione è un prodotto, una merce, e le disgrazie dell'umanità e del pianeta sono sempre un'ottima occasione per fare mercato. Quindi non capisco quando Scianna afferma che il destino della fotografia è segnato, come se intendesse il suo avviarsi al declino, perché tutto sembra andare ancora in modo molto spedito verso lo sviluppo, seppure esso sia scellerato e autodistruggente.
Oppure, forse, Scianna si riferisce al destino dell'aura che ha caratterizzato sin qui la fotografia, e quindi al suo tramonto. Ma l'aura non sta tramontando, perché non è stata minimamente scalfita dal mutamento tecnologico, e allora forse stiamo assistendo al tramonto di una dimensione romantica che ha contrassegnato alcune élites di autori e di apparati critici della fotografia.
E come sempre i romantici, mentre gli altri stanno nella merda fino al collo, sono in grado di soffermarsi sul fiorellino che sta poco più in là. Vedono altro! Ultima modifica di lucy franco il 28.11.16, 10:48, modificato 1 volta in totale.
D - Nelle sue foto c’è l’influenza dell’arte, della musica, della letteratura, del cinema? Quale è preponderante, e in che misura?
R - Come non nutrirsi di altro per fare il fotografo, il falegname o il cuoco? Come pensare che una pratica ed un sapere specifico non siano in relazione con il mondo, con la cultura?
Le immagini sono condizionate da altre immagini, si reggono su di esse, ma germogliano nel pensiero meditante, e questo pensiero che sa andare oltre l'apparire e le verità che vanno di moda, non può che darsi come pensiero critico, poetico e filosofico che mira a comprendere la relazione tra uomo e mondo.
Non è data estetica senza etica, così come non è data opera senza il fondersi di estetica ed etica in un solo corpo. Ultima modifica di lucy franco il 28.11.16, 10:48, modificato 1 volta in totale.
R - Come non nutrirsi di altro per fare il fotografo, il falegname o il cuoco? Come pensare che una pratica ed un sapere specifico non siano in relazione con il mondo, con la cultura?
Le immagini sono condizionate da altre immagini, si reggono su di esse, ma germogliano nel pensiero meditante, e questo pensiero che sa andare oltre l'apparire e le verità che vanno di moda, non può che darsi come pensiero critico, poetico e filosofico che mira a comprendere la relazione tra uomo e mondo.
Non è data estetica senza etica, così come non è data opera senza il fondersi di estetica ed etica in un solo corpo. Ultima modifica di lucy franco il 28.11.16, 10:48, modificato 1 volta in totale.
D - Chi o cosa ha determinato la scelta della fotografia per lei?
R - Come accettare l'idea di un'esistenza a termine senza renderla densa attraverso il gesto creativo, qualsiasi esso sia?
Non nascondo che all'inizio avevo un'idea della fotografia molto diversa da quella di oggi, infatti la ritenevo uno strumento di verità. Avevo bisogno di verità non metafisiche per orientarmi nel mondo con certezza.
Quale altro migliore strumento quindi, se non quello di uno sguardo, ritenuto oggettivo, come quello tecnologico?
Commettevo due errori, seppure provo tenerezza per quelle posizioni assolutamente metafisiche.
L'errore più evidente, da un punto di vista filosofico, fu pensare che esistano verità incontrovertibili, mentre l'altro di minore evidenza (ma non meno grave) fu quello di pensare di poter compensare la condizione umana approssimativa, incostante, dubitante e oscillante attraverso l'uso di un apparato tecnologico.
Oggi scelgo di continuare ad occuparmi della pratica fotografica e di riflettere su di essa in modo filosofico per metterne a nudo i meccanismi e distruggerne l'aura. Senza la pratica dell'insegnamento non sarei giunto a questa posizione, in quanto l'altro davanti a me, che attende da me verità o segreti che non potrò mai dare, mi impone un'attenzione e una tensione etica che esige assoluta autenticità, e se possiamo, forse, mentire a noi stessi ci è molto più difficile mentire all'altro che, mi fa da specchio e mi da la concreta misura del mio esistere. Ultima modifica di lucy franco il 28.11.16, 10:48, modificato 1 volta in totale.
R - Come accettare l'idea di un'esistenza a termine senza renderla densa attraverso il gesto creativo, qualsiasi esso sia?
Non nascondo che all'inizio avevo un'idea della fotografia molto diversa da quella di oggi, infatti la ritenevo uno strumento di verità. Avevo bisogno di verità non metafisiche per orientarmi nel mondo con certezza.
Quale altro migliore strumento quindi, se non quello di uno sguardo, ritenuto oggettivo, come quello tecnologico?
Commettevo due errori, seppure provo tenerezza per quelle posizioni assolutamente metafisiche.
L'errore più evidente, da un punto di vista filosofico, fu pensare che esistano verità incontrovertibili, mentre l'altro di minore evidenza (ma non meno grave) fu quello di pensare di poter compensare la condizione umana approssimativa, incostante, dubitante e oscillante attraverso l'uso di un apparato tecnologico.
Oggi scelgo di continuare ad occuparmi della pratica fotografica e di riflettere su di essa in modo filosofico per metterne a nudo i meccanismi e distruggerne l'aura. Senza la pratica dell'insegnamento non sarei giunto a questa posizione, in quanto l'altro davanti a me, che attende da me verità o segreti che non potrò mai dare, mi impone un'attenzione e una tensione etica che esige assoluta autenticità, e se possiamo, forse, mentire a noi stessi ci è molto più difficile mentire all'altro che, mi fa da specchio e mi da la concreta misura del mio esistere. Ultima modifica di lucy franco il 28.11.16, 10:48, modificato 1 volta in totale.
D - Fotografare è un atto di disvelazione del carattere profondo del soggetto, che lo fa uscire allo scoperto, o distaccata documentazione?
O anche un modo personale per “mettere ordine” nella vita?
R - Le immagini non sono ciò che mostrano, il loro apparire come oggetti le rende cosa del mondo, ma ciò che mostrano non è il mondo.
La fotografia di una mela è una rappresentazione della mela, non è la mela, anzi, ancor di più, ne sottolinea l'assenza.
Al pari della parola la fotografia quindi assolve a una funzione simbolica, la quale rimanda alla cosa ma non è la cosa.
Unica differenza, credo che, mentre la parola si rivolge al genere (mela) o ad un sottogenere (mela golden), la fotografia mostra la mela specifica, una sorta quindi di valore simbolico rappreso, slavato, che in quanto tale apre la strada al suo essere indubitabile, al suo potere incontrastato nei confronti della parola e delle coscienze. Questo approccio indicale (l'impronta) della fotografia non mi interessa perché l'idea di mela rappresa nella sua impronta non ha carica eversiva, muore avvitandosi su sé stessa, sul suo voler essere senza poterlo veramente essere.
Ciò che trovo potente è invece l'idea della forma dell'impronta che darò a quella mela, perché solo così ciò che prevarrà sarà il suo unico valore: il simbolico.
Per tanto non credo affatto nella distaccata documentazione intesa come gesto oggettivo, perché credo che essa sia esattamente il suo contrario e cioè il frutto di una precisa e studiata volontà di rappresentazione ( vedi i Becher).
E nel contempo non credo affatto nella possibilità che la fotografia sia in grado di svelare il carattere profondo delle cose, perché agisce sulle superfici, sull'apparire delle cose.
Il soggetto si dà nel suo essere simbolico, nella sua rappresentazione, ma la rappresentazione è di nuovo, una precisa e studiata volontà di parte, e le immagini non sono ciò che vedo del soggetto, ma ciò che in proposito io penso del soggetto e della sua relazione con il mondo.
Così agendo penso che le immagini fotografiche possano ritornare ad essere intese non più nella mortifera relazione con il medium, ma immagini tra le immagini, che ritornano ad essere il risultato più o meno sensato della nostra insopprimibile necessità creativa. Ultima modifica di lucy franco il 28.11.16, 10:48, modificato 1 volta in totale.
O anche un modo personale per “mettere ordine” nella vita?
R - Le immagini non sono ciò che mostrano, il loro apparire come oggetti le rende cosa del mondo, ma ciò che mostrano non è il mondo.
La fotografia di una mela è una rappresentazione della mela, non è la mela, anzi, ancor di più, ne sottolinea l'assenza.
Al pari della parola la fotografia quindi assolve a una funzione simbolica, la quale rimanda alla cosa ma non è la cosa.
Unica differenza, credo che, mentre la parola si rivolge al genere (mela) o ad un sottogenere (mela golden), la fotografia mostra la mela specifica, una sorta quindi di valore simbolico rappreso, slavato, che in quanto tale apre la strada al suo essere indubitabile, al suo potere incontrastato nei confronti della parola e delle coscienze. Questo approccio indicale (l'impronta) della fotografia non mi interessa perché l'idea di mela rappresa nella sua impronta non ha carica eversiva, muore avvitandosi su sé stessa, sul suo voler essere senza poterlo veramente essere.
Ciò che trovo potente è invece l'idea della forma dell'impronta che darò a quella mela, perché solo così ciò che prevarrà sarà il suo unico valore: il simbolico.
Per tanto non credo affatto nella distaccata documentazione intesa come gesto oggettivo, perché credo che essa sia esattamente il suo contrario e cioè il frutto di una precisa e studiata volontà di rappresentazione ( vedi i Becher).
E nel contempo non credo affatto nella possibilità che la fotografia sia in grado di svelare il carattere profondo delle cose, perché agisce sulle superfici, sull'apparire delle cose.
Il soggetto si dà nel suo essere simbolico, nella sua rappresentazione, ma la rappresentazione è di nuovo, una precisa e studiata volontà di parte, e le immagini non sono ciò che vedo del soggetto, ma ciò che in proposito io penso del soggetto e della sua relazione con il mondo.
Così agendo penso che le immagini fotografiche possano ritornare ad essere intese non più nella mortifera relazione con il medium, ma immagini tra le immagini, che ritornano ad essere il risultato più o meno sensato della nostra insopprimibile necessità creativa. Ultima modifica di lucy franco il 28.11.16, 10:48, modificato 1 volta in totale.
D - Il colore, nelle sue fotografie di architettura, è una cifra espressiva, un modo di ri - creare una sorta di rispetto del reale, una ricerca di equilibrio?
R - Ritornando al valore simbolico delle immagini non do mai per scontato che una tipologia di immagini la si faccia a colori e un''altra in bianco e nero. Quando poi entra in gioco il rapporto con la committenza, il grado di libertà d'azione del fotografo deve rispettosamente fare i conti con le necessità del committente.
Ciò non significa affatto appiattirsi sulle richieste del committente, ma dopo averne comprese le motivazioni di fondo, che già non è semplice, è necessario proporre una visione capace di fondere - le necessità poste - con - lo “stile” cangiante del fotografo.
Se osservo i miei lavori che hanno come soggetto l'architettura trovo una propensione all'uso del colore nei lavori per la committenza e una propensione all'uso del bianco e nero nei lavori autorali.
Credo non sia semplicistico affermare che solitamente la committenza abbisogna di poca oscillazione di senso, di poco simbolico, mentre i progetti personali esprimono una carica simbolica.
Non amo per nulla i colori forti ed accesi, salvo in qualche situazione particolare dove assumono un valore semantico portante. Solitamente quindi tendo ad alleggerire il colore per dare più peso alla forma dell'impronta voluta: luce, forma e punto di osservazione. Ultima modifica di lucy franco il 28.11.16, 10:47, modificato 1 volta in totale.
R - Ritornando al valore simbolico delle immagini non do mai per scontato che una tipologia di immagini la si faccia a colori e un''altra in bianco e nero. Quando poi entra in gioco il rapporto con la committenza, il grado di libertà d'azione del fotografo deve rispettosamente fare i conti con le necessità del committente.
Ciò non significa affatto appiattirsi sulle richieste del committente, ma dopo averne comprese le motivazioni di fondo, che già non è semplice, è necessario proporre una visione capace di fondere - le necessità poste - con - lo “stile” cangiante del fotografo.
Se osservo i miei lavori che hanno come soggetto l'architettura trovo una propensione all'uso del colore nei lavori per la committenza e una propensione all'uso del bianco e nero nei lavori autorali.
Credo non sia semplicistico affermare che solitamente la committenza abbisogna di poca oscillazione di senso, di poco simbolico, mentre i progetti personali esprimono una carica simbolica.
Non amo per nulla i colori forti ed accesi, salvo in qualche situazione particolare dove assumono un valore semantico portante. Solitamente quindi tendo ad alleggerire il colore per dare più peso alla forma dell'impronta voluta: luce, forma e punto di osservazione. Ultima modifica di lucy franco il 28.11.16, 10:47, modificato 1 volta in totale.
D - E fino a quando / dove le precedenti regole hanno senso?
R - Le regole, le teorie e le pratiche sono il risultato di un modello di società e della sua cultura in cui siamo immersi e da cui dipendiamo, ma da cui ci dobbiamo allontanare per un compiere un effettivo gesto creativo, come bene esprime Massimo Recalcati:
“Nell’atto creativo si consuma sempre una rottura con il familiare, un’esperienza di allontanamento dalle strade già tracciate, un esilio dal già visto e dal già conosciuto. Ma l’atto creativo come atto di separazione dal familiare implica necessariamente una memoria storica del familiare e, al tempo stesso, un’eccentricità rispetto a questa memoria”.
(da “Il miracolo della forma” di Massimo Recalcati – Ed. Bruno Mondadori).
Ultima modifica di lucy franco il 28.11.16, 10:47, modificato 2 volte in totale.
R - Le regole, le teorie e le pratiche sono il risultato di un modello di società e della sua cultura in cui siamo immersi e da cui dipendiamo, ma da cui ci dobbiamo allontanare per un compiere un effettivo gesto creativo, come bene esprime Massimo Recalcati:
“Nell’atto creativo si consuma sempre una rottura con il familiare, un’esperienza di allontanamento dalle strade già tracciate, un esilio dal già visto e dal già conosciuto. Ma l’atto creativo come atto di separazione dal familiare implica necessariamente una memoria storica del familiare e, al tempo stesso, un’eccentricità rispetto a questa memoria”.
(da “Il miracolo della forma” di Massimo Recalcati – Ed. Bruno Mondadori).
Ultima modifica di lucy franco il 28.11.16, 10:47, modificato 2 volte in totale.
D - Possono esistere canoni precisi per realizzare una fotografia “bella”? (penso ai suoi lavori pubblicitari su commissione)
R - Chi si ripete è noioso, si è dato una volta per tutte. Nel rapporto amoroso questo atteggiamento è ad esempio il peggior errore che possiamo commettere o subire.
Nel corso della mia attività professionale ho cercato via via di dare sempre più importanza al metodo con cui di volta in volta procedo per la realizzazione di un progetto fotografico.
Il metodo, però attenzione, non può essere incentrato sul come fare una data cosa, ma sul perché, in quanto saranno poi le ragioni del perché ad illuminare e ad orientare il come.
In altro modo prevarrebbe il pensiero tecnico su quello meditante e creativo. Le “belle” fotografie al pari delle “belle” sedie sono quelle dove estetica e funzione d'uso si fondono, lasciando in lontananza le luci e i suoni dello spettacolo. Ultima modifica di lucy franco il 28.11.16, 10:46, modificato 1 volta in totale.
R - Chi si ripete è noioso, si è dato una volta per tutte. Nel rapporto amoroso questo atteggiamento è ad esempio il peggior errore che possiamo commettere o subire.
Nel corso della mia attività professionale ho cercato via via di dare sempre più importanza al metodo con cui di volta in volta procedo per la realizzazione di un progetto fotografico.
Il metodo, però attenzione, non può essere incentrato sul come fare una data cosa, ma sul perché, in quanto saranno poi le ragioni del perché ad illuminare e ad orientare il come.
In altro modo prevarrebbe il pensiero tecnico su quello meditante e creativo. Le “belle” fotografie al pari delle “belle” sedie sono quelle dove estetica e funzione d'uso si fondono, lasciando in lontananza le luci e i suoni dello spettacolo. Ultima modifica di lucy franco il 28.11.16, 10:46, modificato 1 volta in totale.
D - Se c’è una storia per ogni fotografia scattata, ce ne racconti una.
R - Questa domanda sembra fatta apposta per stuzzicare l'ego del fotografo e quindi come uomo provo a sottrarmi.
Viviamo nell'era dello storytelling, dove per fare o disfare una Costituzione, per fare guerre o distruggere le risorse non rinnovabili si inventano miserevoli storie simili a quelle che servono per vendere un qualsiasi prodotto e l'intimità raccontata è diventata una merce.
Posso solo dire che nel mio lavoro ho incontrato tante persone e vissuto tante situazioni a cui ho sempre prestato molto rispetto e attenzione, ma questo è ciò che amo condividere direttamente solo con i miei affetti, studenti compresi. Ultima modifica di lucy franco il 28.11.16, 10:47, modificato 1 volta in totale.
R - Questa domanda sembra fatta apposta per stuzzicare l'ego del fotografo e quindi come uomo provo a sottrarmi.
Viviamo nell'era dello storytelling, dove per fare o disfare una Costituzione, per fare guerre o distruggere le risorse non rinnovabili si inventano miserevoli storie simili a quelle che servono per vendere un qualsiasi prodotto e l'intimità raccontata è diventata una merce.
Posso solo dire che nel mio lavoro ho incontrato tante persone e vissuto tante situazioni a cui ho sempre prestato molto rispetto e attenzione, ma questo è ciò che amo condividere direttamente solo con i miei affetti, studenti compresi. Ultima modifica di lucy franco il 28.11.16, 10:47, modificato 1 volta in totale.
Qui di seguito pubblichiamo per gentile concessione dell'Autore sig. Virgilio Fidanza, il suo ultimo progetto.
Al termine di questa illuminante intervista assume un valore di riconferma e interessante visualizzazione concettuale del nostro colloquio.
A Lui vanno i nostri infiniti grazie.
Al termine di questa illuminante intervista assume un valore di riconferma e interessante visualizzazione concettuale del nostro colloquio.
A Lui vanno i nostri infiniti grazie.
Ho letto ammirato le parole di Virgilio, non mi sono stupito di nulla, ho trovato il Virgilio che conosco.
Grazie a tutt'e due
EraS
Grazie a tutt'e due
EraS