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220. Lorenza Ceruti

Lorenza Ceruti presenta un lavoro davvero pregevole e originale, ispirato all'alta letteratura di Italo Calvino. "Le effimere nella fortezza" è un testo breve che inscena la dialettica tra due categorie esistenziali ed estetiche su cui spesso si è soffermato Calvino (nelle "Lezioni americane" in modo compiuto): la "pesantezza" e la "leggerezza", intese l'una come forza, stabilità, peso, immobilità e l'altra come possibilità di abitare il mondo nella libertà e nella molteplicità dell'essere.
Lorenza, con la collaborazione dell'amica/modella Stefania Borroni, ha realizzato una sequenza fotografica in un bianco e nero estremo, nutrito di picchi tonali espressivi e arditi, in cui una figura esile, leggera e volatile si contrappone consapevolmente alla fisicità robusta e imponente della fortezza di pietra, disegnando nell'aria moti arabescati o, semplicemente, "stando". E in questa alternanza di movimento e di sosta Lorenza esprime il senso di una opposizione esistenziale, in cui ciò che è effimero e passeggero risulta più incisivo e significativo. Perché più consapevole, più problematico.

Leggiamo le parole di Lorenza e, subito dopo, il testo di Calvino:
"Questa serie di foto è un omaggio ad uno scrittore, Italo Calvino, che è il mio forte punto di riferimento... per qualunque cosa io intraprenda :-)
è tratta da "Collezione di sabbia", una raccolta in cui i testi hanno come oggetto il "visibile" o l'atto stesso di vedere, compreso il vedere con l'immaginazione (Lorenza Ceruti)".
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Le effimere nella fortezza (di Italo Calvino)

Uno sciame di effimere volando in una fortezza si posò sui bastioni, prese d'assalto il mastio, invase il cammino di ronda ed i torrioni.
Le nervature delle ali trasparenti si libravano tra le muraglie di pietra
"Invano vi affannate a tendere le vostre membra filiformi" disse la fortezza
"solo chi è fatto per durare può pretendere di ESSERE. Io duro, dunque sono; voi no"
"Noi abitiamo lo spazio dell'aria, scandiamo il tempo col vibrare delle ali. Cos'altro vuol dire essere?" risposero quelle fragili creature
"Tu piuttosto sei soltanto una forma, messa li a segnare i limiti dello spazio e del tempo in cui noi siamo"
"Il tempo su di me scorre: io resto" insisteva la fortezza
"Voi sfiorate soltanto la superficie del divenire come il pelo dell'acqua dei ruscelli"
E le effimere: "Noi guizziamo nel vuoto così come la scrittura sul foglio bianco e le note del flauto nel silenzio"
"Senza di noi non resta che il vuoto onnipotente e onnipresente, così pesante che schiaccia il mondo, il vuoto il cui potere annientatore si riveste di fortezza compatta, il vuoto-pieno che può essere dissolto solo da ciò che è leggero, rapido e sottile".
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