97 - Mauro Moschitti
Mostra online di Mauro Moschitti: "Vetrinità.
L'autore è qui presentato dal critico d'arte Giuseppe Varone:
"Mauro Moschitti è artista che predilige l’immersione nel mondo còlto nella sua reale fattura, attento a cogliere momenti emblematici dell’esistente, dotato di straordinario intuito nel raffigurare ciò che in esso è latente e ciò che invece è manifesto, catturato in immagini variamente avvincenti, drammatiche eironiche, roride di un quid di spirituale e astratto che scorge nell’ordinarietà della gente comune immersa in una quotidianità straordinaria della quale indovina la semplice bellezza, per sublimarne la luce folgorante, come pure la filigrana burrosa del bianco e nero, al cospetto di un’istanza sociale, a narrare un universo di contraddizioni, povertà e miserie umane, diffuse per le strade lungo le quali si muove, agognante del mistero che vela tutte le cose con le maschere dell’apparenza.
Fotografo creativo dotato di un singolare genio regolatore nella composizione di forme, volumi e luci dall’intervallato sapore della tavolozza pittorica o dell’epopea cinematografica, ci racconta la vita di riflesso, osservandola non attraverso l’obiettivo ma in esso, inteso e impiegato come estensione e potenziamento dell’occhio della mente che scorge l’inatteso: l’inimmaginabile rivelato nel quadrante del vivente, avvertito a partitura transitoria nella morfologia metropolitana, nelle manifestazioni cangianti del mondo fenomenico, nei frammenti architettonici, negli ornamenti antropici, come pure nella rivelazione multanime delle pulsioni, delle reazioni e delle movenze umane. Un attento viandante che ama soffermarsi d’improvviso avvinto a storie che offrono in istantanea relazioni improbabili, costituite da distorsioni, mescolanze e sovrapposizioni in un nomadismo figurativo capace di fornire nuove immagini del mondo e nuove coordinate all’uomo che in esso, senza fissa dimora, di riflesso vive.
I suoi racconti, costituiti da pezzi di realtà fissati in un eterno in divenire, attraversano l’anima dell’osservatore partecipe in un’assenza di tempo di un mondo afferrato nelle sue antinomie, in cui il vero cede al suo opposto in uno slittamento che conduce al ripensamento dell’osservato, sia
nell’appercezione della forma che l’occhio attivo trasforma, sia nei termini del pensiero, poiché ogni immagine dice tanto più di sé quanto più il suo oggetto appare evocato, a comunicare anche del soggetto che dietro la maschera dell’obiettivo crea di risposta alle intermittenze dello spirito. In ogni scatto, nella gratuità di questo in quanto guizzo del demone creatore, l’artista non vuole far altro che condividere con l’altro da sé le sensazioni che a occhio nudo ha nel varcare le soglie del mondo conosciuto, intrecciando un tessuto di rapporti nuovi, testimone in rêverie delle invisibili sfumature di cui si costituisce la totalità.
Moschitti osserva il reale multiforme e con la sua opera pone l’osservatore in perielio rispetto a ciò che rappresenta, riverbero di un io celato nel labirinto dei dettagli di cui si costituisce la teca dell’anima. Per fotogrammi musici quell’io tesse l’armonia dissonante di un mondo che in visibilio di particolari segreti appare comunque vivente, pur nella sua avvenenza a tratti dolente, affinché tra le crepe di un suolo aspro possano spuntare oltre a germogli di compassione anche gemme di bellezza, a sottovento della poesia per immagini, quel visibile parlare che è il linguaggio universale che accomuna gli uomini di ogni dove, poiché, come nel suo riflesso il mondo e gli uomini possono apparire nella loro non immediata bellezza, per mezzo di una riflessione molteplice al genere umano vengono illuminati i sentieri della meravigliosa sfera della speranza, dal momento che essa è in ogni luogo, anche laddove apparentemente non si vede e la sola potenza creatrice dell’immaginazione riesce a riflettere" (Giuseppe Varone).
L'autore è qui presentato dal critico d'arte Giuseppe Varone:
"Mauro Moschitti è artista che predilige l’immersione nel mondo còlto nella sua reale fattura, attento a cogliere momenti emblematici dell’esistente, dotato di straordinario intuito nel raffigurare ciò che in esso è latente e ciò che invece è manifesto, catturato in immagini variamente avvincenti, drammatiche eironiche, roride di un quid di spirituale e astratto che scorge nell’ordinarietà della gente comune immersa in una quotidianità straordinaria della quale indovina la semplice bellezza, per sublimarne la luce folgorante, come pure la filigrana burrosa del bianco e nero, al cospetto di un’istanza sociale, a narrare un universo di contraddizioni, povertà e miserie umane, diffuse per le strade lungo le quali si muove, agognante del mistero che vela tutte le cose con le maschere dell’apparenza.
Fotografo creativo dotato di un singolare genio regolatore nella composizione di forme, volumi e luci dall’intervallato sapore della tavolozza pittorica o dell’epopea cinematografica, ci racconta la vita di riflesso, osservandola non attraverso l’obiettivo ma in esso, inteso e impiegato come estensione e potenziamento dell’occhio della mente che scorge l’inatteso: l’inimmaginabile rivelato nel quadrante del vivente, avvertito a partitura transitoria nella morfologia metropolitana, nelle manifestazioni cangianti del mondo fenomenico, nei frammenti architettonici, negli ornamenti antropici, come pure nella rivelazione multanime delle pulsioni, delle reazioni e delle movenze umane. Un attento viandante che ama soffermarsi d’improvviso avvinto a storie che offrono in istantanea relazioni improbabili, costituite da distorsioni, mescolanze e sovrapposizioni in un nomadismo figurativo capace di fornire nuove immagini del mondo e nuove coordinate all’uomo che in esso, senza fissa dimora, di riflesso vive.
I suoi racconti, costituiti da pezzi di realtà fissati in un eterno in divenire, attraversano l’anima dell’osservatore partecipe in un’assenza di tempo di un mondo afferrato nelle sue antinomie, in cui il vero cede al suo opposto in uno slittamento che conduce al ripensamento dell’osservato, sia
nell’appercezione della forma che l’occhio attivo trasforma, sia nei termini del pensiero, poiché ogni immagine dice tanto più di sé quanto più il suo oggetto appare evocato, a comunicare anche del soggetto che dietro la maschera dell’obiettivo crea di risposta alle intermittenze dello spirito. In ogni scatto, nella gratuità di questo in quanto guizzo del demone creatore, l’artista non vuole far altro che condividere con l’altro da sé le sensazioni che a occhio nudo ha nel varcare le soglie del mondo conosciuto, intrecciando un tessuto di rapporti nuovi, testimone in rêverie delle invisibili sfumature di cui si costituisce la totalità.
Moschitti osserva il reale multiforme e con la sua opera pone l’osservatore in perielio rispetto a ciò che rappresenta, riverbero di un io celato nel labirinto dei dettagli di cui si costituisce la teca dell’anima. Per fotogrammi musici quell’io tesse l’armonia dissonante di un mondo che in visibilio di particolari segreti appare comunque vivente, pur nella sua avvenenza a tratti dolente, affinché tra le crepe di un suolo aspro possano spuntare oltre a germogli di compassione anche gemme di bellezza, a sottovento della poesia per immagini, quel visibile parlare che è il linguaggio universale che accomuna gli uomini di ogni dove, poiché, come nel suo riflesso il mondo e gli uomini possono apparire nella loro non immediata bellezza, per mezzo di una riflessione molteplice al genere umano vengono illuminati i sentieri della meravigliosa sfera della speranza, dal momento che essa è in ogni luogo, anche laddove apparentemente non si vede e la sola potenza creatrice dell’immaginazione riesce a riflettere" (Giuseppe Varone).
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