30. Giugno: Lucy Franco
Scatto perché non so volare
Amo fotografare.
L’uomo, la donna, gli sguardi, la loro espressività, la comunicazione di un gesto, un movimento del corpo.
È entrare in contatto con altri da me, storie e passato che si intravedono nelle pieghe della pelle e nei segni del tempo, e si intrecciano ai desideri di un futuro prossimo venturo.
E’ la ripetizione del legame sottile che ogni volta nasce, sotto il segno della silenziosa complicità, alchimia misteriosa che fa scorgere, al termine di un gesto, l’inizio di una storia da raccontare.
E’ raccogliere dalle parole dell’altro, e materializzare un loro fragile, o fortissimo pensiero.
Brevissimi frames della vita.
E se un’unica immagine non esaurisce il racconto, cerco la estensione spaziale di due fotogrammi, dilatando rimandi, contrapposizioni e simboli.
Il mio percorso ha inizi canonici: un corso di fotografia, sviluppo di negativo e stampa, perché non possedevo il linguaggio tecnico giusto che comunicasse alla mia fotocamera quello che volevo ottenere, e non bastava guardare attraverso il mirino per realizzarlo.
Poi, il confronto continuo, costante con compagni di viaggio, e il coraggio di vincere la mia riservatezza ed esporre in due mostre personali, la prima delle quali con il patrocinio di Amnesty International cui è stato devoluto il ricavato della vendita di tutte le fotografie e delle ristampe, per le donne in fuga dal Darfour.
E’ seguita a queste, una collettiva e una in preparazione .
Qualche concorso “provato”, qualche podio conquistato, qualche fotografia pubblicata su riviste di settore, qualche fotografia ne "Il meglio di fc”, qualche stellina e una lunga teoria di libri fotografici e saggi, letti, sottolineati, condivisi con chi, paziente e saggio, mi ha preso per mano in questa scoperta meravigliosa e senza fine.
Scatto perché non so volare: intorno e dentro gli altri, sopra braccia e teste, ai margini di una identità, sopra l’isola che ognuno di noi è.
(Lucy Franco)
Amo fotografare.
L’uomo, la donna, gli sguardi, la loro espressività, la comunicazione di un gesto, un movimento del corpo.
È entrare in contatto con altri da me, storie e passato che si intravedono nelle pieghe della pelle e nei segni del tempo, e si intrecciano ai desideri di un futuro prossimo venturo.
E’ la ripetizione del legame sottile che ogni volta nasce, sotto il segno della silenziosa complicità, alchimia misteriosa che fa scorgere, al termine di un gesto, l’inizio di una storia da raccontare.
E’ raccogliere dalle parole dell’altro, e materializzare un loro fragile, o fortissimo pensiero.
Brevissimi frames della vita.
E se un’unica immagine non esaurisce il racconto, cerco la estensione spaziale di due fotogrammi, dilatando rimandi, contrapposizioni e simboli.
Il mio percorso ha inizi canonici: un corso di fotografia, sviluppo di negativo e stampa, perché non possedevo il linguaggio tecnico giusto che comunicasse alla mia fotocamera quello che volevo ottenere, e non bastava guardare attraverso il mirino per realizzarlo.
Poi, il confronto continuo, costante con compagni di viaggio, e il coraggio di vincere la mia riservatezza ed esporre in due mostre personali, la prima delle quali con il patrocinio di Amnesty International cui è stato devoluto il ricavato della vendita di tutte le fotografie e delle ristampe, per le donne in fuga dal Darfour.
E’ seguita a queste, una collettiva e una in preparazione .
Qualche concorso “provato”, qualche podio conquistato, qualche fotografia pubblicata su riviste di settore, qualche fotografia ne "Il meglio di fc”, qualche stellina e una lunga teoria di libri fotografici e saggi, letti, sottolineati, condivisi con chi, paziente e saggio, mi ha preso per mano in questa scoperta meravigliosa e senza fine.
Scatto perché non so volare: intorno e dentro gli altri, sopra braccia e teste, ai margini di una identità, sopra l’isola che ognuno di noi è.
(Lucy Franco)
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