Davide Bortolo

Fino a qualche giorno fa, per me, la fotografia era uno studio del soggetto, delle luci e dei colori, era strumento di ricordo, era testimonianza di momenti passati con gli amici, ma soprattutto era un elemento essenziale del viaggio... di tutti i viaggi.
Poi sono successe due cose: la prima che, arrivato alla passerella più prossima alla Garganta del Diablo, sicuramente il punto più suggestivo delle cascate di Iguazù nel nord dell' Argentina, laddove tutta l'acqua del mondo sembra cadere in una voragine, mi sono bloccato... non riuscivo nemmeno lontanamente a pensare di afferrare la macchina e fare delle foto. Potevo solo guardare, sentire, annusare e lasciarmi bagnare... sono rimasto lì impalato per una ventina di minuti e, quando ero certo di avere immagazzinato tutto, ma proprio tutto, allora sono riuscito a fare qualche scatto.
La seconda cosa che mi è accaduta, che è comunque legata alla prima, è che arrivato in Patagonia, dopo aver visto e fotografato i ghiacciai del Perito Moreno e di Upsala, mi sono spinto verso i monti Fitz Roy e il mitico Cerro Torre (obiettivi ultimi dei più abili fra gli scalatori) e lì mi è successa la cosa che ogni fotografo teme di più... ho perso la macchina fotografica. Il colpo è stato duro, non tanto per il valore della macchina, quanto per le 650 foto del viaggio; quando pian piano poi sono riuscito a metabolizzare, mi è tornata in mente la Garganta del Diablo coi suoi colori, il suo fragore, il suo profumo... mi ricordavo persino la sensazione valata delle goccioline che mi coprivano.
E' così che ho capito che la foto devi scattarla prima con tutti i tuoi sensi e solo dopo abbassando l'indice sul pulsante.
dABO