Gregory Venere

Solo, immerso nella polvere di un sudicio monolocale dove trascorrevo la maggior parte delle mie ore, scattavo la mia prima fotografia e pensavo... se questo marchingegno diabolico fermerà davvero il tempo non appena verrà schiacciato questo stupido pulsante di plastica, se davvero riuscirà a bloccare un istante della mia vita per sempre, beh, allora è come se fossi gia morto... Non c'è scampo. Cosa può rappresentare un istante se non un agglomerato di colori messi lì tanto per sollazzare oziose pupille?! Cosa diavolo se ne fanno gli uomini di una loro immagine fissata su un pezzo di carta se un minuto dopo che l'hanno scattata sono già un minuto più vecchi? Preferivo viverlo il momento e non tentare di creare un effimero ricordo...

Fu un colpo di tosse a placarmi l'anima, proprio mentre scattavo. Dio benedica la tosse e le sigarette. Dovevo aver fumato parecchio quel giorno...

Controllai la foto: ovviamente mossa, sottoesposta, buia, con una striscia di luce arancione proprio al centro. Guardai con i miei occhi cosa avessi fotografato: la gamba di una sedia, un lembo di tappeto macchiato e mezzo tavolino con un posacenere ed una sigaretta accesa. Osservai ancora la dinamicità di quella striscia di luce e allora trovai la soluzione ai miei attriti interiori.
Da solo capii la più importante delle lezioni: la fotografia NON è un istante, NON è un punto infinitesimo e fine a se stesso, NON uno "scatto" bensì una frazione di tempo, un inizio e una fine, che alla pari di una vita intera raccoglie l'amore, l'odio, la soddisfazione, l'orgoglio, la stupidità, la gioia, la banalità, il dolore e qualsiasi sorta di sentimento umano mai inventato fino ad ora.

L'arte di chi scatta sta nel trasmettere questi sentimenti agli altri e il vero ricordo, ciò che resta a chi ha la macchina fra le mani, non è l'immagine assoluta fissata su pellicola o jpeg ma il significato che questa aquista grazie a tutto ciò che c'era prima e tutto quello che verra dopo il click.