Le mie migliori foto
Su di me
SEBASTIANO CANNAVÒ
Giarre 1986.
Quando nasci ai piedi di un vulcano la tua relazione con le forze della natura è diversa rispetto a quella di chiunque altro; come se i suoi misteri e la sua potenza, a volte terrificante, ti fossero naturalmente familiari.
È un imprinting che porti dentro di te e che condiziona la tua stessa percezione del pericolo: di fronte alla forza impressionante di un vulcano, i suoi figli trovano pace.
“A Muntagna”, così mia madre, chiamava l’Etna!
Ci rimasi finché la mia famiglia decise di partire in cerca di fortuna, io avevo solo tre anni. Sbarcammo su uno scoglio circondato dal mare, ma fu subito casa.
Penso sempre sia stata una fatalità: da isola a isola, da vulcano a vulcano, dall’Etna allo Stromboli, da “Muntagna” a “IDDU”.
Negli occhi di bambino mi rimase impresso il blu di Stromboli, diverso da tutto quello che avevo conosciuto prima di allora, forse qui, lo conobbi davvero per la prima volta, dal cielo al mare era un’infinita varietà di blu.
Quel blu intenso, aveva mille sfumature... grigio, notte, mare, scuro, lavanda, verde, rame del tramonto, oppure così pallido da essere quasi bianco.
Capii che in fondo il blu era inafferrabile e profondamente ambiguo, questo mi ipnotizzò e più tardi compresi che non avrei potuto farne a meno.
Era l'estate dei miei 6 anni, facevo il bagno a Spiaggia Lunga, quando all'improvviso IDDU si mostrò con tutta la sua potenza.
In quella forte esplosione, per la prima volta vidi il fuoco, completamente immerso nel blu petrolio del suo mare, ricordo di essere rimasto immobile, meravigliato, per nulla impaurito... fu il nostro primo "incontro".
Arrivò il momento in cui fui costretto a lasciare l’isola.
Avevo 14 anni quando la mia famiglia decise che avrei continuato gli studi dopo le scuole medie e a quel punto l’isola non bastava più!
Partii da solo e andai a vivere da mia nonna, in Sicilia, così lasciai la mia famiglia, la mia casa, il mio mare e IDDU.
Ricordo quei mesi lontano dall’isola con angoscia.
Mi mancava tutto e non riuscii a colmare quel vuoto in nessun modo; poco importava che a scuola i miei risultati fossero eccellenti, seppi di non poter vivere lontano dalla mia terra, perciò decisi di lasciare gli studi, tornare a Stromboli e fare l’unica cosa possibile: lavorare.
A 15 anni mi ritrovai con la pala in mano e conobbi il mestiere familiare ad ogni Strombolano, quello che noi chiamiamo “a’ muratura”, un lavoro duro che accompagna i lunghi inverni sull’isola.
Impastavo la calce a mani nude, senza rendermi conto di quanto la mia pelle potesse bruciarsi, solo dopo capii perché mia madre non volle che avessi dei guanti.
Ogni sera tornato dal lavoro, mi accoglieva a casa e guardando le mie mani, con la dolcezza che la contraddistingue mi chiedeva: “Penna o pala?”, non mi stancai mai di risponderle: “Pala!”, ormai conoscevo il prezzo da pagare per vivere lì.
In quegli stessi anni una scoperta del tutto casuale diede una precisa direzione alla mia vita. Sono un solitario e ho spesso dedicato il mio tempo libero a lunghe passeggiate sull’isola, che sebbene così piccola, mi ha sempre regalato qualcosa di nuovo e inatteso, ma quella domenica di Primavera fu particolarmente generosa!
Mi ritrovai a curiosare “al Gabbiano”, una discoteca abbandonata ormai da anni, quando sbirciando tra i rovi che avevano infestato anche gli interni, trovai una cassettina, di solito usata per la frutta, colma di vecchi vinili.
Ho ancora negli occhi di ragazzino i colori del tesoro che conteneva, mi si aprì un mondo che mi avrebbe cambiato, dai Bee Gees a Santana, da Led Zeppelin ai Queen, Prince, Etta James, gli Scorpion e molti altri. Da quel momento la musica diventò parte di me, una passione e più tardi una professione.
Poi nella vita arriva l’Amore, quello per cui perdi la testa, sogni, costruisci, fai progetti ed immagini una famiglia ed una vita fatta di condivisione, ed anche in questo caso, l’isola ti unisce oppure diventa un ostacolo.
Può accadere che il sogno si infranga e che l’amore svanisca, ma se questo accade su uno scoglio in mezzo al mare alle porte dell’inverno, o ti perdi o trovi il modo per sopravvivere!
In quell’inverno difficilissimo, convinto di aver perduto tutto, capii che solo l’isola poteva salvarmi, i suoi tramonti, le sue albe, la sua luce, il suo mare, le sue spiagge, IDDU e il suo blu.
Solo allora per la prima volta presi in mano una macchina fotografica, compresi che quello era il modo per fermare la bellezza, ma in fondo era la possibilità di guardarmi dentro, di rivedere in quegli scatti il mio mondo, la mia vita, la mia anima.
La musica e la fotografia... in un viaggio verso l’infinito in cui anche l'isola più piccola, può essere il centro dell’universo e le passioni possono diventare una professione.
Credo che qui la vita inizi, proprio dove per gli altri finisce: quando cioè ogni collegamento con il resto del mondo viene interrotto, quando si resta soli in mezzo al mare, quando si spezza anche l’ultimo tenue contatto con il mondo.
Allora ci si sente finalmente al sicuro, tranquilli e protetti come nel grembo materno.
È l’isola stessa a racchiudere in se questa doppia anima, prigione o fortezza, esilio o libertà, mistero e certezza.
Per me quest’isola è casa, pausa, silenzio e sospensione del tempo…
...e ogni mio scatto è il suo racconto.
Giarre 1986.
Quando nasci ai piedi di un vulcano la tua relazione con le forze della natura è diversa rispetto a quella di chiunque altro; come se i suoi misteri e la sua potenza, a volte terrificante, ti fossero naturalmente familiari.
È un imprinting che porti dentro di te e che condiziona la tua stessa percezione del pericolo: di fronte alla forza impressionante di un vulcano, i suoi figli trovano pace.
“A Muntagna”, così mia madre, chiamava l’Etna!
Ci rimasi finché la mia famiglia decise di partire in cerca di fortuna, io avevo solo tre anni. Sbarcammo su uno scoglio circondato dal mare, ma fu subito casa.
Penso sempre sia stata una fatalità: da isola a isola, da vulcano a vulcano, dall’Etna allo Stromboli, da “Muntagna” a “IDDU”.
Negli occhi di bambino mi rimase impresso il blu di Stromboli, diverso da tutto quello che avevo conosciuto prima di allora, forse qui, lo conobbi davvero per la prima volta, dal cielo al mare era un’infinita varietà di blu.
Quel blu intenso, aveva mille sfumature... grigio, notte, mare, scuro, lavanda, verde, rame del tramonto, oppure così pallido da essere quasi bianco.
Capii che in fondo il blu era inafferrabile e profondamente ambiguo, questo mi ipnotizzò e più tardi compresi che non avrei potuto farne a meno.
Era l'estate dei miei 6 anni, facevo il bagno a Spiaggia Lunga, quando all'improvviso IDDU si mostrò con tutta la sua potenza.
In quella forte esplosione, per la prima volta vidi il fuoco, completamente immerso nel blu petrolio del suo mare, ricordo di essere rimasto immobile, meravigliato, per nulla impaurito... fu il nostro primo "incontro".
Arrivò il momento in cui fui costretto a lasciare l’isola.
Avevo 14 anni quando la mia famiglia decise che avrei continuato gli studi dopo le scuole medie e a quel punto l’isola non bastava più!
Partii da solo e andai a vivere da mia nonna, in Sicilia, così lasciai la mia famiglia, la mia casa, il mio mare e IDDU.
Ricordo quei mesi lontano dall’isola con angoscia.
Mi mancava tutto e non riuscii a colmare quel vuoto in nessun modo; poco importava che a scuola i miei risultati fossero eccellenti, seppi di non poter vivere lontano dalla mia terra, perciò decisi di lasciare gli studi, tornare a Stromboli e fare l’unica cosa possibile: lavorare.
A 15 anni mi ritrovai con la pala in mano e conobbi il mestiere familiare ad ogni Strombolano, quello che noi chiamiamo “a’ muratura”, un lavoro duro che accompagna i lunghi inverni sull’isola.
Impastavo la calce a mani nude, senza rendermi conto di quanto la mia pelle potesse bruciarsi, solo dopo capii perché mia madre non volle che avessi dei guanti.
Ogni sera tornato dal lavoro, mi accoglieva a casa e guardando le mie mani, con la dolcezza che la contraddistingue mi chiedeva: “Penna o pala?”, non mi stancai mai di risponderle: “Pala!”, ormai conoscevo il prezzo da pagare per vivere lì.
In quegli stessi anni una scoperta del tutto casuale diede una precisa direzione alla mia vita. Sono un solitario e ho spesso dedicato il mio tempo libero a lunghe passeggiate sull’isola, che sebbene così piccola, mi ha sempre regalato qualcosa di nuovo e inatteso, ma quella domenica di Primavera fu particolarmente generosa!
Mi ritrovai a curiosare “al Gabbiano”, una discoteca abbandonata ormai da anni, quando sbirciando tra i rovi che avevano infestato anche gli interni, trovai una cassettina, di solito usata per la frutta, colma di vecchi vinili.
Ho ancora negli occhi di ragazzino i colori del tesoro che conteneva, mi si aprì un mondo che mi avrebbe cambiato, dai Bee Gees a Santana, da Led Zeppelin ai Queen, Prince, Etta James, gli Scorpion e molti altri. Da quel momento la musica diventò parte di me, una passione e più tardi una professione.
Poi nella vita arriva l’Amore, quello per cui perdi la testa, sogni, costruisci, fai progetti ed immagini una famiglia ed una vita fatta di condivisione, ed anche in questo caso, l’isola ti unisce oppure diventa un ostacolo.
Può accadere che il sogno si infranga e che l’amore svanisca, ma se questo accade su uno scoglio in mezzo al mare alle porte dell’inverno, o ti perdi o trovi il modo per sopravvivere!
In quell’inverno difficilissimo, convinto di aver perduto tutto, capii che solo l’isola poteva salvarmi, i suoi tramonti, le sue albe, la sua luce, il suo mare, le sue spiagge, IDDU e il suo blu.
Solo allora per la prima volta presi in mano una macchina fotografica, compresi che quello era il modo per fermare la bellezza, ma in fondo era la possibilità di guardarmi dentro, di rivedere in quegli scatti il mio mondo, la mia vita, la mia anima.
La musica e la fotografia... in un viaggio verso l’infinito in cui anche l'isola più piccola, può essere il centro dell’universo e le passioni possono diventare una professione.
Credo che qui la vita inizi, proprio dove per gli altri finisce: quando cioè ogni collegamento con il resto del mondo viene interrotto, quando si resta soli in mezzo al mare, quando si spezza anche l’ultimo tenue contatto con il mondo.
Allora ci si sente finalmente al sicuro, tranquilli e protetti come nel grembo materno.
È l’isola stessa a racchiudere in se questa doppia anima, prigione o fortezza, esilio o libertà, mistero e certezza.
Per me quest’isola è casa, pausa, silenzio e sospensione del tempo…
...e ogni mio scatto è il suo racconto.
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