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Il soffio del mattino Foto & Immagine di Mario Ventura ᐅ Vedi e commenta gratuitamente la foto su fotocommunity. Scopri gratuitamente altre immagini.
Italia mia, benché 'l parlar sia indarno
a le piaghe mortali
che nel bel corpo tuo sí spesse veggio,
piacemi almen che ' miei sospir' sian quali
spera 'l Tevero et l'Arno,
e 'l Po, dove doglioso et grave or seggio.
Rettor del cielo, io cheggio
che la pietà che Ti condusse in terra
Ti volga al Tuo dilecto almo paese.
Vedi, Segnor cortese,
di che lievi cagion' che crudel guerra;
e i cor', che 'ndura et serra
Marte superbo et fero,
apri Tu, Padre, e 'ntenerisci et snoda;
ivi fa che 'l Tuo vero,
qual io mi sia, per la mia lingua s'oda.
Voi cui Fortuna à posto in mano il freno
de le belle contrade,
di che nulla pietà par che vi stringa,
che fan qui tante pellegrine spade?
perché 'l verde terreno
del barbarico sangue si depinga?
Vano error vi lusinga:
poco vedete, et parvi veder molto,
ché 'n cor venale amor cercate o fede.
Qual piú gente possede,
colui è piú da' suoi nemici avolto.
O diluvio raccolto
di che deserti strani
per inondar i nostri dolci campi!
Se da le proprie mani
questo n'avene, or chi fia che ne scampi?
Ben provide Natura al nostro stato,
quando de l'Alpi schermo
pose fra noi et la tedesca rabbia;
ma 'l desir cieco, e 'ncontr'al suo ben fermo,
s'è poi tanto ingegnato,
ch'al corpo sano à procurato scabbia.
Or dentro ad una gabbia
fiere selvagge et mansüete gregge
s'annidan sí che sempre il miglior geme:
et è questo del seme,
per piú dolor, del popol senza legge,
al qual, come si legge,
Mario aperse sí 'l fianco,
che memoria de l'opra ancho non langue,
quando assetato et stanco
non piú bevve del fiume acqua che sangue.
Cesare taccio che per ogni piaggia
fece l'erbe sanguigne
di lor vene, ove 'l nostro ferro mise.
Or par, non so per che stelle maligne,
che 'l cielo in odio n'aggia:
vostra mercé, cui tanto si commise.
Vostre voglie divise
guastan del mondo la piú bella parte.
Qual colpa, qual giudicio o qual destino
fastidire il vicino
povero, et le fortune afflicte et sparte
perseguire, e 'n disparte
cercar gente et gradire,
che sparga 'l sangue et venda l'alma a prezzo?
Io parlo per ver dire,
non per odio d'altrui, né per disprezzo.
Né v'accorgete anchor per tante prove
del bavarico inganno
ch'alzando il dito colla morte scherza?
Peggio è lo strazio, al mio parer, che 'l danno;
ma 'l vostro sangue piove
piú largamente, ch'altr'ira vi sferza.
Da la matina a terza
di voi pensate, et vederete come
tien caro altrui che tien sé cosí vile.
Latin sangue gentile,
sgombra da te queste dannose some;
non far idolo un nome
vano senza soggetto:
ché 'l furor de lassú, gente ritrosa,
vincerne d'intellecto,
peccato è nostro, et non natural cosa.
Non è questo 'l terren ch'i' toccai pria?
Non è questo il mio nido
ove nudrito fui sí dolcemente?
Non è questa la patria in ch'io mi fido,
madre benigna et pia,
che copre l'un et l'altro mio parente?
Perdio, questo la mente
talor vi mova, et con pietà guardate
le lagrime del popol doloroso,
che sol da voi riposo
dopo Dio spera; et pur che voi mostriate
segno alcun di pietate,
vertú contra furore
prenderà l'arme, et fia 'l combatter corto:
ché l'antiquo valore
ne gli italici cor' non è anchor morto.
Signor', mirate come 'l tempo vola,
et sí come la vita
fugge, et la morte n'è sovra le spalle.
Voi siete or qui; pensate a la partita:
ché l'alma ignuda et sola
conven ch'arrive a quel dubbioso calle.
Al passar questa valle
piacciavi porre giú l'odio et lo sdegno,
vènti contrari a la vita serena;
et quel che 'n altrui pena
tempo si spende, in qualche acto piú degno
o di mano o d'ingegno,
in qualche bella lode,
in qualche honesto studio si converta:
cosí qua giú si gode,
et la strada del ciel si trova aperta.
Canzone, io t'ammonisco
che tua ragion cortesemente dica,
perché fra gente altera ir ti convene,
et le voglie son piene
già de l'usanza pessima et antica,
del ver sempre nemica.
Proverai tua ventura
fra' magnanimi pochi a chi 'l ben piace.
Di' lor: - Chi m'assicura?
I' vo gridando: Pace, pace, pace. -
Canzoniere, Petrarca
Tuscolanae disputationes (Cicerone):
«Quid est autem dulcius otio litterato? is dico litteris, quibus infirmitatem rerum atque naturae et in hoc ipso mundo caelum terras maria cognoscimus» (V 36: "cosa c’è di più dolce dell’ozio letterario? Alludo a quegli studi per mezzo dei quali arriviamo a conoscere l’infinita natura, e il cielo e la terra e i mari, mentre siamo ancora nel mondo").
L’esaltazione della vita ritirata: questo è il file rouge che percorre la storia della letteratura fin dagli albori.
E' oggetto di una delle più celebri opere di Petrarca, il De vita solitaria. Ad un’esistenza caotica nel frastuono cittadino, il poeta contrappone la pace bucolica che consente la pratica di un otium consacrato alla lettura e alla scrittura (Catullo e Orazio docent).
Come condizione perniciosa di inattività e di inoperosità, l’ozio è stigmatizzato da Alberti nei Libri della famiglia: «El grembo degli oziosi sempre fu nido e cova de’ vizii; nulla si truova tanto alle cose pubbliche e private nocivo e pestifero quanto sono i cittadini ignavi e inetti. Dall’ozio nasce lascivia; dalla lascivia nasce spregiare le leggi; dal non ubbidire le leggi segue ruina ed esterminio delle terre» (II 70). Ma sempre l'artista Alberti parla di «onestissimo ozio» (III 290), in riferimento all’otium umanistico dello studiolo (l'immagine è quella di Ariosto, che preferì navigare solo sulle sue "carte", o di S.Gerolamo): come sinonimo di attività intellettuale.
Una connotazione negativa ha lo stare in ozio per Machiavelli, poiché in esso è celato il pericolo: «perché la cagione della disunione delle repubbliche, il più delle volte, è l’ozio e la pace; la cagione della unione è la paura e la guerra» (Discorsi sopra la prima decade di Tito Livio, II 25). Significativa, a questo proposito, è la seguente affermazione di Castiglione: «però è ancora officio del bon principe istituire talmente i populi suoi, e con tai leggi ed ordini, che possano vivere nell’ocio e nella pace senza periculo e con dignità e godere laudevolmente questo fine delle sue azioni che deve esser la quiete» (Libro del Cortegiano, IV 27). Ma è sempre Castiglione ad affermare che «l’ocio troppo facilmente induce mali costumi negli animi umani» (IV 28).
Come vizio sociale è condannato nei Ricordi di Saba da Castiglione, nel capitoletto intitolato "Cerca a fugire l’ozio", dove riprende una persuasione proverbiale: «Per esser l’ozio da ciascun dannato e vituperato come fomento e ministro di ogni vizio, di continuo il fuggirete, come nemico capitale di ogni virtù».
Ripa ricorda i seguenti versi di Ariosto: «In questo albergo il grave sonno giace; / l’ozio da un canto corpulento e grasso» (Orlando furioso, XIV 93).
Ed anche Eugenio Montale si ferma a contemplare, nel meriggio:
Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
m entre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
Ma teoria a parte, di fronte a questa immagine si respira aria pulita.
Così tanta semplicità insieme a tanto ingegno, tanta bontà e altrettanta fermezza, la pace interiore accompagnata dalla pienezza della vita e dell'agire: davanti agli occhi del giovane Werther qui ogni dolore si sarebbe attenuato fino a dissolversi.
Che sia la Brianza di Manzoni?
Impeccabile esecuzione per soggetto e per colori.
Complimenti!
M.
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Mariana Magnani 30/04/2011 17:27
Italia mia, benché 'l parlar sia indarnoa le piaghe mortali
che nel bel corpo tuo sí spesse veggio,
piacemi almen che ' miei sospir' sian quali
spera 'l Tevero et l'Arno,
e 'l Po, dove doglioso et grave or seggio.
Rettor del cielo, io cheggio
che la pietà che Ti condusse in terra
Ti volga al Tuo dilecto almo paese.
Vedi, Segnor cortese,
di che lievi cagion' che crudel guerra;
e i cor', che 'ndura et serra
Marte superbo et fero,
apri Tu, Padre, e 'ntenerisci et snoda;
ivi fa che 'l Tuo vero,
qual io mi sia, per la mia lingua s'oda.
Voi cui Fortuna à posto in mano il freno
de le belle contrade,
di che nulla pietà par che vi stringa,
che fan qui tante pellegrine spade?
perché 'l verde terreno
del barbarico sangue si depinga?
Vano error vi lusinga:
poco vedete, et parvi veder molto,
ché 'n cor venale amor cercate o fede.
Qual piú gente possede,
colui è piú da' suoi nemici avolto.
O diluvio raccolto
di che deserti strani
per inondar i nostri dolci campi!
Se da le proprie mani
questo n'avene, or chi fia che ne scampi?
Ben provide Natura al nostro stato,
quando de l'Alpi schermo
pose fra noi et la tedesca rabbia;
ma 'l desir cieco, e 'ncontr'al suo ben fermo,
s'è poi tanto ingegnato,
ch'al corpo sano à procurato scabbia.
Or dentro ad una gabbia
fiere selvagge et mansüete gregge
s'annidan sí che sempre il miglior geme:
et è questo del seme,
per piú dolor, del popol senza legge,
al qual, come si legge,
Mario aperse sí 'l fianco,
che memoria de l'opra ancho non langue,
quando assetato et stanco
non piú bevve del fiume acqua che sangue.
Cesare taccio che per ogni piaggia
fece l'erbe sanguigne
di lor vene, ove 'l nostro ferro mise.
Or par, non so per che stelle maligne,
che 'l cielo in odio n'aggia:
vostra mercé, cui tanto si commise.
Vostre voglie divise
guastan del mondo la piú bella parte.
Qual colpa, qual giudicio o qual destino
fastidire il vicino
povero, et le fortune afflicte et sparte
perseguire, e 'n disparte
cercar gente et gradire,
che sparga 'l sangue et venda l'alma a prezzo?
Io parlo per ver dire,
non per odio d'altrui, né per disprezzo.
Né v'accorgete anchor per tante prove
del bavarico inganno
ch'alzando il dito colla morte scherza?
Peggio è lo strazio, al mio parer, che 'l danno;
ma 'l vostro sangue piove
piú largamente, ch'altr'ira vi sferza.
Da la matina a terza
di voi pensate, et vederete come
tien caro altrui che tien sé cosí vile.
Latin sangue gentile,
sgombra da te queste dannose some;
non far idolo un nome
vano senza soggetto:
ché 'l furor de lassú, gente ritrosa,
vincerne d'intellecto,
peccato è nostro, et non natural cosa.
Non è questo 'l terren ch'i' toccai pria?
Non è questo il mio nido
ove nudrito fui sí dolcemente?
Non è questa la patria in ch'io mi fido,
madre benigna et pia,
che copre l'un et l'altro mio parente?
Perdio, questo la mente
talor vi mova, et con pietà guardate
le lagrime del popol doloroso,
che sol da voi riposo
dopo Dio spera; et pur che voi mostriate
segno alcun di pietate,
vertú contra furore
prenderà l'arme, et fia 'l combatter corto:
ché l'antiquo valore
ne gli italici cor' non è anchor morto.
Signor', mirate come 'l tempo vola,
et sí come la vita
fugge, et la morte n'è sovra le spalle.
Voi siete or qui; pensate a la partita:
ché l'alma ignuda et sola
conven ch'arrive a quel dubbioso calle.
Al passar questa valle
piacciavi porre giú l'odio et lo sdegno,
vènti contrari a la vita serena;
et quel che 'n altrui pena
tempo si spende, in qualche acto piú degno
o di mano o d'ingegno,
in qualche bella lode,
in qualche honesto studio si converta:
cosí qua giú si gode,
et la strada del ciel si trova aperta.
Canzone, io t'ammonisco
che tua ragion cortesemente dica,
perché fra gente altera ir ti convene,
et le voglie son piene
già de l'usanza pessima et antica,
del ver sempre nemica.
Proverai tua ventura
fra' magnanimi pochi a chi 'l ben piace.
Di' lor: - Chi m'assicura?
I' vo gridando: Pace, pace, pace. -
Canzoniere, Petrarca
Tuscolanae disputationes (Cicerone):
«Quid est autem dulcius otio litterato? is dico litteris, quibus infirmitatem rerum atque naturae et in hoc ipso mundo caelum terras maria cognoscimus» (V 36: "cosa c’è di più dolce dell’ozio letterario? Alludo a quegli studi per mezzo dei quali arriviamo a conoscere l’infinita natura, e il cielo e la terra e i mari, mentre siamo ancora nel mondo").
L’esaltazione della vita ritirata: questo è il file rouge che percorre la storia della letteratura fin dagli albori.
E' oggetto di una delle più celebri opere di Petrarca, il De vita solitaria. Ad un’esistenza caotica nel frastuono cittadino, il poeta contrappone la pace bucolica che consente la pratica di un otium consacrato alla lettura e alla scrittura (Catullo e Orazio docent).
Come condizione perniciosa di inattività e di inoperosità, l’ozio è stigmatizzato da Alberti nei Libri della famiglia: «El grembo degli oziosi sempre fu nido e cova de’ vizii; nulla si truova tanto alle cose pubbliche e private nocivo e pestifero quanto sono i cittadini ignavi e inetti. Dall’ozio nasce lascivia; dalla lascivia nasce spregiare le leggi; dal non ubbidire le leggi segue ruina ed esterminio delle terre» (II 70). Ma sempre l'artista Alberti parla di «onestissimo ozio» (III 290), in riferimento all’otium umanistico dello studiolo (l'immagine è quella di Ariosto, che preferì navigare solo sulle sue "carte", o di S.Gerolamo): come sinonimo di attività intellettuale.
Una connotazione negativa ha lo stare in ozio per Machiavelli, poiché in esso è celato il pericolo: «perché la cagione della disunione delle repubbliche, il più delle volte, è l’ozio e la pace; la cagione della unione è la paura e la guerra» (Discorsi sopra la prima decade di Tito Livio, II 25). Significativa, a questo proposito, è la seguente affermazione di Castiglione: «però è ancora officio del bon principe istituire talmente i populi suoi, e con tai leggi ed ordini, che possano vivere nell’ocio e nella pace senza periculo e con dignità e godere laudevolmente questo fine delle sue azioni che deve esser la quiete» (Libro del Cortegiano, IV 27). Ma è sempre Castiglione ad affermare che «l’ocio troppo facilmente induce mali costumi negli animi umani» (IV 28).
Come vizio sociale è condannato nei Ricordi di Saba da Castiglione, nel capitoletto intitolato "Cerca a fugire l’ozio", dove riprende una persuasione proverbiale: «Per esser l’ozio da ciascun dannato e vituperato come fomento e ministro di ogni vizio, di continuo il fuggirete, come nemico capitale di ogni virtù».
Ripa ricorda i seguenti versi di Ariosto: «In questo albergo il grave sonno giace; / l’ozio da un canto corpulento e grasso» (Orlando furioso, XIV 93).
Ed anche Eugenio Montale si ferma a contemplare, nel meriggio:
Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
m entre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
Ma teoria a parte, di fronte a questa immagine si respira aria pulita.
Così tanta semplicità insieme a tanto ingegno, tanta bontà e altrettanta fermezza, la pace interiore accompagnata dalla pienezza della vita e dell'agire: davanti agli occhi del giovane Werther qui ogni dolore si sarebbe attenuato fino a dissolversi.
Che sia la Brianza di Manzoni?
Impeccabile esecuzione per soggetto e per colori.
Complimenti!
M.
adriana lissandrini 30/04/2011 11:45
splendida e preferita.............complimenti Mario!Maria Grazia Bacino 27/04/2011 18:30
splendida....laura fogazza 26/04/2011 16:14
semplicemente stupenda....laura
riccardo maria marinoni 26/04/2011 11:29
Affascinante nella sua semplicità , complimentiClaudioBosco 26/04/2011 8:20
straordinari e delicata luce del mattinoPoetica.
Duilio Nicli 26/04/2011 6:35
Affascinante, come tutte le tue foto. Preferita.+++++++++
Ciao
Antonio Morri 25/04/2011 22:20
Semplicemente favolosa!SINA 25/04/2011 21:52
traumhaft schön Mario.....lg.Kristine
JOKIST 25/04/2011 21:16
Ein sehr anspruchsvolles Foto !LG Ingrid und Hans
Gabriele Simonetti 25/04/2011 20:20
luce e colori da manuale..........passerei delle ore a guardare foto così.saluti Gabriele.
Chiara Ab. 25/04/2011 20:02
Favolosi i colori e la luce, come tu sai fare. Preferita.Elvy Cicalese 25/04/2011 19:16
Una poesia questo tuo scatto Mario!Una scala di verdi eccellente avvalorata dai punti luce al posto giusto: molto molto bella Complimenti!
Elvy
martino perbellini 25/04/2011 18:59
Sai sempre superare te stesso!!! Splendida e preferita. CiaoBertolini Arturo 25/04/2011 18:29
Magnifica fotografia.Cromatismo stupendo.
Complimenti.
Arturo.