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Mostra online di Carlo Atzori "Fare il pane in casa" - 2. Un cesto di pane da cuocere

Mostra online di Carlo Atzori "Fare il pane in casa" - 2. Un cesto di pane da cuocere

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Mostra online di Carlo Atzori "Fare il pane in casa" - 2. Un cesto di pane da cuocere

Impastare e creare, attraverso le mani, le forme del pane...

Commenti 6

  • Geo Portaluppi 19/05/2010 21:53

    Novello emulo di Giuliano Cantarello anch'io opto per questa immagine, per parlare di pane, di mamme e di... gnocchi, e anche dei tortelli di San Giuseppe, di quelli vuoti con l'impasto dei bignè fritto, assai di moda in Lombardia, specialmente il giovedì grasso e ovviamente per la festa del papà, così ci riallacciamo al padre di Giuliano, fornaio di professione.
    Una bella rimpatriata, tra mattutini genitori e sapori genuini, tra tradizioni da rispettare, condite da frasi del tipo: «Fatti in là, lasciami lavorare!» Caro Carlo capisco bene quando tua madre ti comandava di non importunarla, di andartene giacché aveva da fare: impastare il pane è cosa seria, è affare che richiede concentrazione e invece tu lì, come un fastidioso moscone a ronzarle attorno, fin dalle prime ore del giorno. L'arte appresa dalle dirette mani del proprio genitore, in questo caso la madre della mamma ritratta, rivendica per sé stessa riserbo, spinto fino alle soglie d'assumere la candida veste del più ancestrale segreto che impone a occhi curiosi il divieto di “lumare”, fossero anche gli occhi di vetro levigato e ben cromato di quei marchingegni che sono le macchine fotografiche.
    Mia madre non impastava pane, bensì gnocchi, un’arte forse minore rispetto a quella del pane ma che, come tutti i rustici mestieri, bene figura in qualsiasi mostra. Le forme dei tortellini di San Giuseppe ricordano da più vicino le forme di pane bianco che qui vediamo nella foto e mostrano in modo inequivocabile l’arguzia dell’improvvisazione in quanto non tutte le pagnotte sono tra loro uguali, ma cambiano e si differenziano in continuazione e i loro contorni sono dettati dal materiale non omogeneo che capita all’improvviso in mano, e l’abilità dell’artigiano risiede nell’assecondare quel particolare grumo di farina che pare, con la sua esile vocina, invocare di non alterare la foggia che la provvida Madre Natura ha previsto per fargli meglio affrontare la cottura. È una millenaria avventura che non manca mai di destare emozione sicura, imperitura. E le dita della mamma di Carlo corrono veloci, ecco al centro della foto due michette fatte secondo le antiche ricette, tonde con tanto di cappellino rotondo in testa, una sorta di cerchietto che le donne si ponevano in testa per trasportare brocche colme d’acqua dalla fonte alla cucina, e sopra a queste due michette ce ne sono altre due a listarella ripiegata, sia in forma triangolare e sia a rettangolo, e non manca la nota pagnotta fatta a foca distesa a crogiolarsi sulla banchisa, con la bocca aperta a intonare canti di richiamo ai trichechi che son sempre sdraiati essendo perennemente stanchi. Non manca la forma di pane a ocarina, con frange che la rendono più carina e tra le mani una curiosa forma di pane, oh, quella c’è sempre, ad ogni sfornata e nessuno sa cosa stia a significare, nessuno più se lo ricorda, ma la sapiente mamma nulla scorda. È una pagnotta che pare abbia due braccine che si protendono birichine in cerca di qualcuno da abbracciare: se schiacci un poco la michetta pare che le minuscole braccia agitino le manine come se fossero mosse di vita propria, e questo gesto era quello che faceva tanto ridere il piccolo Carlo quando era appena stato sfrattato dalla culla, un movimento da nulla ma generatore di ilarità, e il piccolo Carlo batteva le proprie manine all’unisono con quelle del pane dalla foggia inusuale. Ora il fotografo quei momenti della sua infanzia ha scordato, ma la mamma, la mamma non scorda nulla. Ora sarebbe bello che io facessi altrettanto, ovvero quello che tu hai fatto per il pane io mi cimentassi con gli gnocchi. Che fotografassi le patate bollite distese sotto un canovaccio a raffreddare, e poi l’atto della sbucciatura. Ora si impone un attimo di attenzione all’apparire in scena dello schiacciapatate, imponente, minaccioso. Con un ultimo sussulto tutte le ignude e vereconde patate finiscono dentro la capiente pancia del bieco strumento: panico, urlii, sgomento delle tuberacee che stanno per essere maciullate, frantumate, schiacciate! Oh, che grande mal di testa, e proprio in un giorno di festa (mia madre gli gnocchi li faceva la domenica, non il giovedì) , ma lo spettacolo deve continuare, “The show must go on”, cantava Freddie Mercury, e giallognoli filamenti, per magico incanto, fuoriescono dai lati dello schiacciapatate, s’arricciolano, si dimenano come serpentelli speranzosi che fanno i preziosi non volendosi mostrare all’inclito pubblico, che poi, quel pubblico, ero solo io. Ma alla fine come estemporanei paracadutisti s’adagiano al suolo, sulla spianata della tavola all’uopo infarinata, un candido campo d’atterraggio che si allarga dal centro per ampio raggio, calcolato non con il “pi greco” bensì in funzione dei futuri commensali che s’assembreranno attorno alla mensa all’ora designata. Bastoncini del colore dei canarini un cumulo erigono sulla tavola imbiancata. E la montagnola cresce e si protende fino a raggiungere una altezza considerevole. Seguirà una ulteriore fase di raffreddamento, eh sì, giacché le patate non vanno schiacciate quando sono fredde gelate, ma devono essere leggermente tiepide.
    Ohibò ecco che inattesa giunge una nevicata sulla montagna da poco eretta, son tre etti di farina per ogni chilo di patate, e fiocca, fiocca, la farina discende come melodia celeste e tutto ricopre, sparpagliata da generose manciate, e le tormentate patate trovano così un loro attimo di pace. Poi tutto tace. La mamma proclama il suo consueto discorso: «Lasciamo che la natura faccia il suo corso. Adesso nel centro della montagna di riccioli dorati faccio un bel buco e poi ci sbatto dentro un uovo e due generosi pizzichi di sale.» Meno male che un dì ci fu chi inventò gli gnocchi. C’è da non credere ai propri occhi, ma i tre ingredienti, che da poco hanno fatto la reciproca conoscenza, vengono strapazzati senza un minimo di indulgenza, pizzicati, sfilacciati, tirati il lungo e in largo, amalgamati fino a formare un impasto omogeneo, liscio e compatto come il sederino di un neonato, che a completamento dell’opera sarà dalla mamma amorevolmente sculacciato, prima d’essere messo a dormire sotto un candido telo, sebbene nel cielo il sole sia già alto. E quando giungerà il momento la grossa pagnotta simile a un gigantesco pane destinato a un intero reggimento di bocche da sfamare, verrà suddiviso in lunghe ma corpose listarelle, arrotolate e fatte ballonzolare tra grati spruzzi di farina e quando la lista avrà raggiunto la lunghezza desiata, con una spatola o un provvido coltello, separata sarà in tanti quadrucci, come minuscole pagnottelle pronte per essere infilate nel forno degli azzurri puffi, e invece no, con un colpo di scena veramente spettacolare, ecco apparire l’ultimo personaggio di questa culinaria novella, la forchetta che i rebbi ha per capigliatura, e saranno proprio questi che, pigiati sul pancino dei quadrucci di patate e farina, doneranno a ogni bocconcino una caratteristica pettinatura, tre solchi sul capo del quadruccio, mentre sul retro il pollice sarà veementemente penetrato a forgiare un incavo destinato a essere colmato dal sugo di pomodoro. Se fossi bravo come te farei anch’io una serie di foto sulla preparazione degli gnocchi ma, suvvia, non siamo sciocchi, non possiedo la stoffa adatta e così il nostro agognato menù sarò privo del primo piatto, che resterà solo un sogno. Per fortuna però il pane l’abbiamo ed è di quello che ne abbiamo più bisogno.
  • Marialbi 22/10/2009 8:33

    un cesto di forme di pane...piccole opere d'arte!!!
  • Franco Giannattasio 20/10/2009 22:29

    +++++++++
  • Fabio Sguazzin 20/10/2009 15:08

    Tutte belle queste tue foto ottimo il taglio il b/n mi riporti indietro nel passato la gente era piu' sincera ed onesta tra di loro tutti si aiutavano chi per una cosa chi per un'altra e' cosi' si costruivano molti valori ormai oggi persi +++++++++++++++++
  • Paolo Rafficoni 19/10/2009 17:40

    Sono delle vere e proprie opere d'arte questi panetti...
    che belli