Ciro Prota è molto importante per fotocommunity: per le sue splendide fotografie, che portano il contrassegno della serietà, della ricerca, della passione totalizzante, e per i suoi commenti, sempre diretti, schietti e articolati. Ciro dice quello che pensa, fotografa quello che sente. Il suo talento è pienamente maturo, le sue fotografie sono sorprendenti, inedite, ardite. Sue.
Straordinarie e personalissime le visioni di città (in particolare delle sue città, Napoli e Parigi) e di persone, emozionanti i suoi reportage che ci proiettano nel vivo dell'azione e del tumulto, e magnifici i suoi bianconero. Ogni fotografia di Ciro è un mondo a sé, da studiare in ogni dettaglio delle meravigliose composizioni.
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Straordinarie e personalissime le visioni di città (in particolare delle sue città, Napoli e Parigi) e di persone, emozionanti i suoi reportage che ci proiettano nel vivo dell'azione e del tumulto, e magnifici i suoi bianconero. Ogni fotografia di Ciro è un mondo a sé, da studiare in ogni dettaglio delle meravigliose composizioni.
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D. Il tuo primo incontro con la fotografia.
R. Si sa, gli avvenimenti della vita hanno sempre un inizio, solo che con il passare del tempo ci si dimentica dell'attimo esatto in cui sono iniziati e sembra che siano sempre stati parte di noi.
Da bambino, quando andavo ai matrimoni con i miei, restavo incantato da quell'uomo che guardava in un buco di una scatoletta, con la testa china, la scena che si presentava davanti a lui e mi chiedevo il perché non guardasse come tutti noi a testa alta... e rimanevo lì a fissare le sue mosse come se fosse un prestigiatore, fino allo spavento finale del lampo.
Verso i vent'anni, con una Pentax K1000, mitica, prestatami da un amico, scattavo i primi rulli a colore, trovando soggetti interessanti in tutto ciò che incontravo, e ricordo di aver subito scelto un tele come mio obiettivo preferito e Pete Turner come fotografo da studiare.
Quello che mi interessava erano i particolari, ravvicinamenti di oggetti e soggetti, forse dovuto alla mia timidezza di allora, ma questo lo capisco solo con il senno di poi...
Subito dopo, e per subito dopo intendo dopo 5 o 6 rulli a colori, ancora un amico mi introdusse nel mondo della camera oscura.
Si aprì un universo a me sconosciuto fino ad allora: riuscivo a stampare quello che avevo visto attraverso l'apparecchio fotografico, una straordinaria scoperta e un inconsapevole inizio della mia futura professione.
Con le prime notti passate a sviluppare e stampare sentivo sempre più l’esigenza di un’ottica che avvicinasse me, fisicamente, al soggetto, e da allora la filosofografia dell’essere dentro la foto si è impadronita di me. Considero tuttora il grandangolo il mio fidato socio.
Da quel tempo non ho mai più abbandonato questa espressione, anzi l'ho sviluppata fino a creare negli anni '90 un laboratorio professionale della lavorazione del bianconero, Photographica, esercitando l'attività nel centro antico di Napoli .
Più che un laboratorio era una vera e propria officina, aperta a tutti quelli che facevano della fotografia la propria ragione di vita. Da buon artigiano quale mi consideravo, la mia esperienza si è consolidata e le conoscenze di artisti mi hanno apertto sempre più la mente e di conseguenza il mio modo di ragionare sulla fotografia.
Credo fermamente che insegnare e imparare siano la stessa cosa: è questo il segreto.
D. Nel 1996 hai aperto con tre musicisti il WP Studio's, uno spazio dedicato alla musica e alla fotografia nel centro storico di Napoli. Com'è andata?
R. Come tutte le società è andata bene finché è durata. I nostri interessi ad un certo punto si sono evoluti fino a scindersi in modo autonomo. In quel periodo però ho trascorso forse i miei migliori anni: credevamo in qualcosa che allora a Napoli non esisteva, abbiamo dato vita a dei movimenti coinvolgendo tante persone e soprattutto giovani. E poi la magia di essere nel centro storico di Napoli, in Piazzetta del Nilo (chi sa capirà), essere consapevoli che eravamo un gruppo non di commercianti ma di artisti che mettevano il loro sapere a disposizione di chi “chiedeva”.
Le sale prove erano 6 metri sotto il livello stradale, e quando abbiamo preso in affitto il locale non c’era assolutamente nulla, anzi qualcosa c’era: macerie.
Abbiamo svuotato tutto, ricostruito, progettato dalla a alla zeta, e tutto fatto con le nostre mani.
Ricordo le fatiche e le notti e le domeniche a lavorare e gli scontri e le grandi soddisfazioni.
Questo posto esiste ancora, ovviamente solo come sala prove. Intanto la P è rimasta, e la P sta per Prota.
Il laboratorio-studio con sala posa era al secondo piano. Uno dei musicisti aveva perso il suo posto di lavoro e cominciai ad insegnargli tutto quello che sapevo sulla fotografia, dagli ISO al viraggio al selenio, e ora gestisce un laboratorio-studio a Napoli, ed è un apprezzato fotografo. Grande soddisfazione per me.
E poi lì ho conosciuto la mia futura moglie, Maria.
Le sale prove erano in affitto per gruppi e formazioni musicali, io ero l'unico che non si interessasse di musica, anche se suonavo anch'io in un gruppo e imparai ad usare l'impianto voci, ma avevo un locale al secondo piano dove era adibito un laboratorio ed una sala pose, il tutto gestito da noi quattro.
Organizzavamo concerti per dare spazio a gruppi altrimenti mai ascoltati, e corsi fotografici per chi non poteva permettersi scuole costose e via dicendo.
D. Nel 1999 hai aperto a Napoli "Photographica", il tuo laboratorio-studio, in cui hai stampato per i più grandi fotografi della scena partenopea. Quali sono i tuoi ricordi più vivi di quegli anni?
R. Le cose indelebili sono tante, sarebbe troppo lungo elencarle. Era più che altro un porto di mare.
C’era sempre gente che passava di là anche solo per un saluto, sapendo che la porta era sempre aperta e la disponibilità sempre manifesta.
Ricordo con nostalgia le notti passate a stampare fotografie che il giorno dopo dovevano essere esposte in una mostra e l’ansia dell’autore, e il mio perenne ottimismo.
Credo che il fatto di ridursi all’ultimo momento sia una prerogativa dei fotografi, chissà perché…!
Ricordo gli inizi, a girare per studi fotografici proponendo la mia lavorazione bianconero, ricordo la grande pazienza con clienti troppo esigenti, ricordo le pause per il caffè che diventavano discussioni interminabili sulla vita e i suoi accessori, ricordo l’anziana inquilina dello stabile che a Pasqua arrivava con la sua fetta di pastiera per farmi testare la qualità, ricordo la superba artigianalità che applicavo quando dipingevo a mano, parzialmente, le stampe, ricordo gli olezzi degli acidi… ma con gli anni e i ricordi sono diventati odori… ricordo gli sconti incredibili che facevo a studenti e giovanissimi, ricordo le buste della spesa piene di rulli da sviluppare di un fotografo di Contrasto, ricordo mia figlia Rita che giocava alla mia scrivania, inventandosi lavoretti con le strisce di provinatura... e tanto altro...
Ho un solo brutto ricordo, l’ultimo prima di chiudere… ma questa è un’altra storia.
D. Nel febbraio del 2006, quando eravamo online da poco più di un mese, sei arrivato qui su fotocommunity. Un mese dopo ti sei trasferito a Parigi, dove vivi tuttora. Ricordo ancora la tua prima fotografia da Parigi, un signore di spalle su un ponte, in un bianco e nero molto luminoso… Com'è stato il tuo incontro con questa magica città? Cosa hai provato nei primi tempi?
R. L’impatto con Parigi è stato strano. Mi sentivo a mio agio ma ero molto diffidente, le paure di non riuscire a “durare” erano tante, la città era tutta da scoprire, la lingua totalmente sconosciuta se non per quei pochi vocaboli. Ho cominciato a conoscere gente, italiani che vivevano a Parigi da svariati anni, il timore di dover iniziare tutto da zero e per giunta mia figlia che a otto anni doveva inserirsi in un contesto totalmente nuovo, imparando una nuova lingua. Insomma non è stato affatto facile,ma oggi ne sono più che contento, in special modo per i miei figli.
Poi c'è stato l'inserimento in un nuovo e sconosciuto campo lavorativo, la ristorazione. Mio malgrado mi sono adattato ad imparare un mestiere che poi mi è stato utile per poter sopravvivere alle tante incombenze familiari e poi, in un secondo momento, mi ha permesso di conoscere vari personaggi importanti.
Ricordo che urtavo molto spesso con la chiusura mentale dei francesi, anzi per meglio dire dei parigini... perché la Francia infine non è solo Parigi. Per un minimo intoppo andavano in tilt, adesso sono abituato e cerco di risolvere i problemi prima che vadano in panico.
Inizialmente è stato tutto uno scoprire, piazze, musei, boulevard... restavo incantato di fronte a tanta meraviglia. Ma la cosa più importante è stata provare la libertà di girare dovunque con l'apparecchio fotografico in mano, senza aver il timore di guardarti alle spalle, e forse proprio questa libertà ha fatto in modo che la mia espressione fotografica prendesse il largo, riuscendo a vedere Parigi sotto un altro aspetto, con un altro punto di vista. Come mi disse Mimmo Iodice, "tu ti accorgi di cose che sono lì, ma nessuno se ne cura....guardi Parigi da napoletano, cioè con secoli di cultura".
Adesso conosco Parigi come Napoli, ma torno a Napoli come turista e vivo a Parigi come cittadino.
D. A Parigi hai fotografato, hai esposto, hai avuto tanti successi… Credi che l'attenzione che la Francia riserva alla fotografia sia più tangibile di quella italiana?
R. Una sola e certa risposta: sicuramente.
Non posso parlare delle altre città francesi, ma l'attenzione parigina rispetto alla fotografia è palpabile in ogni aspetto. Nel primo mese trascorso dal nostro trasferimento, ho visto più mostre fotografiche qui che in tutta la mia vita a Napoli. Ho esposto diverse volte a Napoli e in qualche città italiana, ma solo ed esclusivamente per la gloria. Qui se riesci ad esporre nel posto giusto, vendi... sicuramente vendi. Perché, parliamoci chiaro, va bene la gloria, ma ad un certo punto la gloria non è commestibile.
E poi, credo che tanti lo sappiano, ci sono le sedi delle più importanti agenzie, la M.E.P. che da sola basterebbe a formare qualsiasi appassionato di fotografia, il Salone della Photo e ancora tantissime opportunità di crescita fotografica.
Avevo esposto delle stampe nel Marais, in un piccolo ristorante dove lavoravo, e un avventore alla fine del pasto mi domandò se poteva comprare una mia foto, perché era il compleanno di sua figlia. Tolta dal muro, impacchettata e consegnata... questo mi fece capire ancora di più il rispetto che i francesi hanno per quest'arte.
D. La fotografia che preferisci è quella di reportage. Diceva Robert Capa: "Se le tue fotografie non sono abbastanza belle, non sei andato abbastanza vicino". Raccontaci un momento difficile, in cui il bisogno e l'impulso di fotografare non ti hanno fatto sentire la paura.
R. Non c'è stato un momento particolarmente difficile o pericoloso nella mia vita fotografica, tranne qualche volta in cui sono incappato in scontri tra manifestanti, come l'arrivo della fiaccola olimpica a Parigi, alla vigilia delle Olimpiadi di Pechino. Ma quella volta mi sentii sinceramente protetto dal mio apparecchio fotografico, non fisicamente, ma sentivo come uno schermo protettivo tra me e quello che succedeva, uno scudo ideale.
Un'altra volta, erano gli inizi, e mi ingaggiarono per fotografare una inaugurazione di un locale a Caserta. Alla fine della serata due "brave persone" mi chiesero se nelle inquadrature fosse compresa una tal persona, presente in quel locale. Pretesero i rulli scattati, e io comprendendo al volo la faccenda consegnai due dei sei rulli impressionati.
L'adrenalina saliva perché ero tenuto d'occhio, ma ero contento di aver nascosto i rulli ed aver preso per i fondelli quelle "brave persone", forse quella volta scattavo per non sentire la paura.
D. Recentemente, hai pubblicato su fotocommunity due ritratti di Claudia Cardinale. Raccontaci il tuo incontro con questa meravigliosa attrice.
R. Come dicevo prima, per un periodo di tempo ho lavorato in un piccolissimo ma inversamente famoso ristorante italiano nel Marais.
In questo posto esponevo e vendevo con soddisfazione le mie fotografie, e non mancava occasione di parlare delle mie fotografie e subito dopo di consigliare un buon rosso per una portata, una figura un po' anomala, la mia… Ricordo benissimo le facce sbigottite dei clienti quando mi chiedevano chi fosse l’autore delle fotografie, e diventare timidi nel chiedermi qualcosa per la cena…
In questo posto ho conosciuto diversi personaggi, da Jean Nouvelle a Jospin, da Marion Cotillard a Dolce e Gabbana, da Ivano Cheli a Marino Mannarini e si parlava sempre affabilmente delle mie fotografie esposte, con conseguente vendita.
Ma i due personaggi che mi sono rimasti indelebili sono stati Mimmo Jodice e Claudia Cardinale.
Il primo perché abbiamo passato un tempo lunghissimo, in più volte, a parlare di fotografia e delle mie fotografie, con la soddisfazione incredibile della vendita di una mia fotografia ad un fotografo di fama mondiale…!
La seconda perché è nata un’amicizia vera e spontanea, fatta di modestia da parte sua e di affetto da parte mia.
Abbiamo passate delle serate incredibili a cantare e a suonare con Claudia, con la complicità della figlia, e ancora oggi ne sento la nostalgia.
Ad un suo compleanno le regalai una mia fotografia, rappresentava Napoli, e lei mi promise che sarebbe stata soggetto di un mio shooting fotografico…
Non lavoravo più in quel posto, e un giorno mi telefonò per fissare un appuntamento a casa sua per il servizio fotografico, cosa che poi è avvenuta.
Un incontro semplice, ma di quelli da raccontare ai nipoti…!
D. Un evento della storia che ti sarebbe piaciuto fotografare…?
R. Non voglio viaggiare nel tempo, altrimenti ci sarebbero decine di eventi storici particolarmente interessanti sotto il punto di vista fotografico. Attenendomi alla nostra epoca, mi sarebbe piaciuto documentare, in tutta la sua interezza, il Sessantotto.
A partire dalle rivolte americane a quelle francesi e poi a quelle italiane.
Una documentazione che sarebbe arrivata fino ai giorni nostri con la testimonianza dei personaggi che hanno partecipato in quei tempi e le implicazioni per la musica e la cultura.
D. Una tua foto di cui sei particolarmente orgoglioso (o una serie)?
R. Una in particolare non c'è, ci sono quelle fatte in Francia che mi rendono particolarmente orgoglioso.
Hanno segnato una sorte di confine tra quello che ero e quello che sono, e non solo per il cambiamento di ambiente, di paesaggio, ma per una consapevole crescita personale, costruita a volte con sofferenza e come tutte le cose sofferte, le più sentite emotivamente.
Una bella fotografia è la totale espressione che si sente per il soggetto che si sta fotografando nel senso più intimo, sia un soggetto umano che un paesaggio o un semplice barattolo. E' per questo che la totale espressione si sente per la vita stessa e nella sua complessità.
Una a cui sono particolarmente affezionato esiste, ma è quella che non ho mai voluto scattare.
D. Illustraci la tua visione del bianco e nero, il suo senso per te.
R. Fotografo in bianconero perché questo è stato il mio imprinting. Da quando ho imparato a stampare non ho più smesso di "filtrare" le immagini che fotografo.
L'azione combinata tra obiettivo e pellicola simula quella tra occhio e cervello, ed è qui che avviene l'alchimia, la consapevolezza nel rendersi conto che tanto la fotografia espressiva, chiamata anche creativa, quanto quella di documentazione non sono in rapporto diretto con ciò che noi chiamiamo realtà.
La mia è una fotografia realistica, ma in effetti di reale c'è solo quello che risiede nell'immagine dell'ottica, i valori che io dò all'immagine finale in bianconero sono decisamente distaccati dalla realta, e se fosse possibile metterli a confronto le differenze risulterebbero enormi.
Mi accorgo per esempio che le fotografie cosiddette "familiari" sono quasi sempre a colori, ma non per una sorta di distacco ma solo per una forma di rispetto verso l'osservatore, non assimilandolo alla mia interpretazione personale, evitando così di "assecondarmi".
Ho delle immagini indelebili nella mia mente, quelle dell'infanzia, della prima adolescenza, quelle della guerra del Vietnam viste in tv e sono tutte in bianconero.
E' in bianconero il ricordo di mia madre...
R. Si sa, gli avvenimenti della vita hanno sempre un inizio, solo che con il passare del tempo ci si dimentica dell'attimo esatto in cui sono iniziati e sembra che siano sempre stati parte di noi.
Da bambino, quando andavo ai matrimoni con i miei, restavo incantato da quell'uomo che guardava in un buco di una scatoletta, con la testa china, la scena che si presentava davanti a lui e mi chiedevo il perché non guardasse come tutti noi a testa alta... e rimanevo lì a fissare le sue mosse come se fosse un prestigiatore, fino allo spavento finale del lampo.
Verso i vent'anni, con una Pentax K1000, mitica, prestatami da un amico, scattavo i primi rulli a colore, trovando soggetti interessanti in tutto ciò che incontravo, e ricordo di aver subito scelto un tele come mio obiettivo preferito e Pete Turner come fotografo da studiare.
Quello che mi interessava erano i particolari, ravvicinamenti di oggetti e soggetti, forse dovuto alla mia timidezza di allora, ma questo lo capisco solo con il senno di poi...
Subito dopo, e per subito dopo intendo dopo 5 o 6 rulli a colori, ancora un amico mi introdusse nel mondo della camera oscura.
Si aprì un universo a me sconosciuto fino ad allora: riuscivo a stampare quello che avevo visto attraverso l'apparecchio fotografico, una straordinaria scoperta e un inconsapevole inizio della mia futura professione.
Con le prime notti passate a sviluppare e stampare sentivo sempre più l’esigenza di un’ottica che avvicinasse me, fisicamente, al soggetto, e da allora la filosofografia dell’essere dentro la foto si è impadronita di me. Considero tuttora il grandangolo il mio fidato socio.
Da quel tempo non ho mai più abbandonato questa espressione, anzi l'ho sviluppata fino a creare negli anni '90 un laboratorio professionale della lavorazione del bianconero, Photographica, esercitando l'attività nel centro antico di Napoli .
Più che un laboratorio era una vera e propria officina, aperta a tutti quelli che facevano della fotografia la propria ragione di vita. Da buon artigiano quale mi consideravo, la mia esperienza si è consolidata e le conoscenze di artisti mi hanno apertto sempre più la mente e di conseguenza il mio modo di ragionare sulla fotografia.
Credo fermamente che insegnare e imparare siano la stessa cosa: è questo il segreto.
D. Nel 1996 hai aperto con tre musicisti il WP Studio's, uno spazio dedicato alla musica e alla fotografia nel centro storico di Napoli. Com'è andata?
R. Come tutte le società è andata bene finché è durata. I nostri interessi ad un certo punto si sono evoluti fino a scindersi in modo autonomo. In quel periodo però ho trascorso forse i miei migliori anni: credevamo in qualcosa che allora a Napoli non esisteva, abbiamo dato vita a dei movimenti coinvolgendo tante persone e soprattutto giovani. E poi la magia di essere nel centro storico di Napoli, in Piazzetta del Nilo (chi sa capirà), essere consapevoli che eravamo un gruppo non di commercianti ma di artisti che mettevano il loro sapere a disposizione di chi “chiedeva”.
Le sale prove erano 6 metri sotto il livello stradale, e quando abbiamo preso in affitto il locale non c’era assolutamente nulla, anzi qualcosa c’era: macerie.
Abbiamo svuotato tutto, ricostruito, progettato dalla a alla zeta, e tutto fatto con le nostre mani.
Ricordo le fatiche e le notti e le domeniche a lavorare e gli scontri e le grandi soddisfazioni.
Questo posto esiste ancora, ovviamente solo come sala prove. Intanto la P è rimasta, e la P sta per Prota.
Il laboratorio-studio con sala posa era al secondo piano. Uno dei musicisti aveva perso il suo posto di lavoro e cominciai ad insegnargli tutto quello che sapevo sulla fotografia, dagli ISO al viraggio al selenio, e ora gestisce un laboratorio-studio a Napoli, ed è un apprezzato fotografo. Grande soddisfazione per me.
E poi lì ho conosciuto la mia futura moglie, Maria.
Le sale prove erano in affitto per gruppi e formazioni musicali, io ero l'unico che non si interessasse di musica, anche se suonavo anch'io in un gruppo e imparai ad usare l'impianto voci, ma avevo un locale al secondo piano dove era adibito un laboratorio ed una sala pose, il tutto gestito da noi quattro.
Organizzavamo concerti per dare spazio a gruppi altrimenti mai ascoltati, e corsi fotografici per chi non poteva permettersi scuole costose e via dicendo.
D. Nel 1999 hai aperto a Napoli "Photographica", il tuo laboratorio-studio, in cui hai stampato per i più grandi fotografi della scena partenopea. Quali sono i tuoi ricordi più vivi di quegli anni?
R. Le cose indelebili sono tante, sarebbe troppo lungo elencarle. Era più che altro un porto di mare.
C’era sempre gente che passava di là anche solo per un saluto, sapendo che la porta era sempre aperta e la disponibilità sempre manifesta.
Ricordo con nostalgia le notti passate a stampare fotografie che il giorno dopo dovevano essere esposte in una mostra e l’ansia dell’autore, e il mio perenne ottimismo.
Credo che il fatto di ridursi all’ultimo momento sia una prerogativa dei fotografi, chissà perché…!
Ricordo gli inizi, a girare per studi fotografici proponendo la mia lavorazione bianconero, ricordo la grande pazienza con clienti troppo esigenti, ricordo le pause per il caffè che diventavano discussioni interminabili sulla vita e i suoi accessori, ricordo l’anziana inquilina dello stabile che a Pasqua arrivava con la sua fetta di pastiera per farmi testare la qualità, ricordo la superba artigianalità che applicavo quando dipingevo a mano, parzialmente, le stampe, ricordo gli olezzi degli acidi… ma con gli anni e i ricordi sono diventati odori… ricordo gli sconti incredibili che facevo a studenti e giovanissimi, ricordo le buste della spesa piene di rulli da sviluppare di un fotografo di Contrasto, ricordo mia figlia Rita che giocava alla mia scrivania, inventandosi lavoretti con le strisce di provinatura... e tanto altro...
Ho un solo brutto ricordo, l’ultimo prima di chiudere… ma questa è un’altra storia.
D. Nel febbraio del 2006, quando eravamo online da poco più di un mese, sei arrivato qui su fotocommunity. Un mese dopo ti sei trasferito a Parigi, dove vivi tuttora. Ricordo ancora la tua prima fotografia da Parigi, un signore di spalle su un ponte, in un bianco e nero molto luminoso… Com'è stato il tuo incontro con questa magica città? Cosa hai provato nei primi tempi?
R. L’impatto con Parigi è stato strano. Mi sentivo a mio agio ma ero molto diffidente, le paure di non riuscire a “durare” erano tante, la città era tutta da scoprire, la lingua totalmente sconosciuta se non per quei pochi vocaboli. Ho cominciato a conoscere gente, italiani che vivevano a Parigi da svariati anni, il timore di dover iniziare tutto da zero e per giunta mia figlia che a otto anni doveva inserirsi in un contesto totalmente nuovo, imparando una nuova lingua. Insomma non è stato affatto facile,ma oggi ne sono più che contento, in special modo per i miei figli.
Poi c'è stato l'inserimento in un nuovo e sconosciuto campo lavorativo, la ristorazione. Mio malgrado mi sono adattato ad imparare un mestiere che poi mi è stato utile per poter sopravvivere alle tante incombenze familiari e poi, in un secondo momento, mi ha permesso di conoscere vari personaggi importanti.
Ricordo che urtavo molto spesso con la chiusura mentale dei francesi, anzi per meglio dire dei parigini... perché la Francia infine non è solo Parigi. Per un minimo intoppo andavano in tilt, adesso sono abituato e cerco di risolvere i problemi prima che vadano in panico.
Inizialmente è stato tutto uno scoprire, piazze, musei, boulevard... restavo incantato di fronte a tanta meraviglia. Ma la cosa più importante è stata provare la libertà di girare dovunque con l'apparecchio fotografico in mano, senza aver il timore di guardarti alle spalle, e forse proprio questa libertà ha fatto in modo che la mia espressione fotografica prendesse il largo, riuscendo a vedere Parigi sotto un altro aspetto, con un altro punto di vista. Come mi disse Mimmo Iodice, "tu ti accorgi di cose che sono lì, ma nessuno se ne cura....guardi Parigi da napoletano, cioè con secoli di cultura".
Adesso conosco Parigi come Napoli, ma torno a Napoli come turista e vivo a Parigi come cittadino.
D. A Parigi hai fotografato, hai esposto, hai avuto tanti successi… Credi che l'attenzione che la Francia riserva alla fotografia sia più tangibile di quella italiana?
R. Una sola e certa risposta: sicuramente.
Non posso parlare delle altre città francesi, ma l'attenzione parigina rispetto alla fotografia è palpabile in ogni aspetto. Nel primo mese trascorso dal nostro trasferimento, ho visto più mostre fotografiche qui che in tutta la mia vita a Napoli. Ho esposto diverse volte a Napoli e in qualche città italiana, ma solo ed esclusivamente per la gloria. Qui se riesci ad esporre nel posto giusto, vendi... sicuramente vendi. Perché, parliamoci chiaro, va bene la gloria, ma ad un certo punto la gloria non è commestibile.
E poi, credo che tanti lo sappiano, ci sono le sedi delle più importanti agenzie, la M.E.P. che da sola basterebbe a formare qualsiasi appassionato di fotografia, il Salone della Photo e ancora tantissime opportunità di crescita fotografica.
Avevo esposto delle stampe nel Marais, in un piccolo ristorante dove lavoravo, e un avventore alla fine del pasto mi domandò se poteva comprare una mia foto, perché era il compleanno di sua figlia. Tolta dal muro, impacchettata e consegnata... questo mi fece capire ancora di più il rispetto che i francesi hanno per quest'arte.
D. La fotografia che preferisci è quella di reportage. Diceva Robert Capa: "Se le tue fotografie non sono abbastanza belle, non sei andato abbastanza vicino". Raccontaci un momento difficile, in cui il bisogno e l'impulso di fotografare non ti hanno fatto sentire la paura.
R. Non c'è stato un momento particolarmente difficile o pericoloso nella mia vita fotografica, tranne qualche volta in cui sono incappato in scontri tra manifestanti, come l'arrivo della fiaccola olimpica a Parigi, alla vigilia delle Olimpiadi di Pechino. Ma quella volta mi sentii sinceramente protetto dal mio apparecchio fotografico, non fisicamente, ma sentivo come uno schermo protettivo tra me e quello che succedeva, uno scudo ideale.
Un'altra volta, erano gli inizi, e mi ingaggiarono per fotografare una inaugurazione di un locale a Caserta. Alla fine della serata due "brave persone" mi chiesero se nelle inquadrature fosse compresa una tal persona, presente in quel locale. Pretesero i rulli scattati, e io comprendendo al volo la faccenda consegnai due dei sei rulli impressionati.
L'adrenalina saliva perché ero tenuto d'occhio, ma ero contento di aver nascosto i rulli ed aver preso per i fondelli quelle "brave persone", forse quella volta scattavo per non sentire la paura.
D. Recentemente, hai pubblicato su fotocommunity due ritratti di Claudia Cardinale. Raccontaci il tuo incontro con questa meravigliosa attrice.
R. Come dicevo prima, per un periodo di tempo ho lavorato in un piccolissimo ma inversamente famoso ristorante italiano nel Marais.
In questo posto esponevo e vendevo con soddisfazione le mie fotografie, e non mancava occasione di parlare delle mie fotografie e subito dopo di consigliare un buon rosso per una portata, una figura un po' anomala, la mia… Ricordo benissimo le facce sbigottite dei clienti quando mi chiedevano chi fosse l’autore delle fotografie, e diventare timidi nel chiedermi qualcosa per la cena…
In questo posto ho conosciuto diversi personaggi, da Jean Nouvelle a Jospin, da Marion Cotillard a Dolce e Gabbana, da Ivano Cheli a Marino Mannarini e si parlava sempre affabilmente delle mie fotografie esposte, con conseguente vendita.
Ma i due personaggi che mi sono rimasti indelebili sono stati Mimmo Jodice e Claudia Cardinale.
Il primo perché abbiamo passato un tempo lunghissimo, in più volte, a parlare di fotografia e delle mie fotografie, con la soddisfazione incredibile della vendita di una mia fotografia ad un fotografo di fama mondiale…!
La seconda perché è nata un’amicizia vera e spontanea, fatta di modestia da parte sua e di affetto da parte mia.
Abbiamo passate delle serate incredibili a cantare e a suonare con Claudia, con la complicità della figlia, e ancora oggi ne sento la nostalgia.
Ad un suo compleanno le regalai una mia fotografia, rappresentava Napoli, e lei mi promise che sarebbe stata soggetto di un mio shooting fotografico…
Non lavoravo più in quel posto, e un giorno mi telefonò per fissare un appuntamento a casa sua per il servizio fotografico, cosa che poi è avvenuta.
Un incontro semplice, ma di quelli da raccontare ai nipoti…!
D. Un evento della storia che ti sarebbe piaciuto fotografare…?
R. Non voglio viaggiare nel tempo, altrimenti ci sarebbero decine di eventi storici particolarmente interessanti sotto il punto di vista fotografico. Attenendomi alla nostra epoca, mi sarebbe piaciuto documentare, in tutta la sua interezza, il Sessantotto.
A partire dalle rivolte americane a quelle francesi e poi a quelle italiane.
Una documentazione che sarebbe arrivata fino ai giorni nostri con la testimonianza dei personaggi che hanno partecipato in quei tempi e le implicazioni per la musica e la cultura.
D. Una tua foto di cui sei particolarmente orgoglioso (o una serie)?
R. Una in particolare non c'è, ci sono quelle fatte in Francia che mi rendono particolarmente orgoglioso.
Hanno segnato una sorte di confine tra quello che ero e quello che sono, e non solo per il cambiamento di ambiente, di paesaggio, ma per una consapevole crescita personale, costruita a volte con sofferenza e come tutte le cose sofferte, le più sentite emotivamente.
Una bella fotografia è la totale espressione che si sente per il soggetto che si sta fotografando nel senso più intimo, sia un soggetto umano che un paesaggio o un semplice barattolo. E' per questo che la totale espressione si sente per la vita stessa e nella sua complessità.
Una a cui sono particolarmente affezionato esiste, ma è quella che non ho mai voluto scattare.
D. Illustraci la tua visione del bianco e nero, il suo senso per te.
R. Fotografo in bianconero perché questo è stato il mio imprinting. Da quando ho imparato a stampare non ho più smesso di "filtrare" le immagini che fotografo.
L'azione combinata tra obiettivo e pellicola simula quella tra occhio e cervello, ed è qui che avviene l'alchimia, la consapevolezza nel rendersi conto che tanto la fotografia espressiva, chiamata anche creativa, quanto quella di documentazione non sono in rapporto diretto con ciò che noi chiamiamo realtà.
La mia è una fotografia realistica, ma in effetti di reale c'è solo quello che risiede nell'immagine dell'ottica, i valori che io dò all'immagine finale in bianconero sono decisamente distaccati dalla realta, e se fosse possibile metterli a confronto le differenze risulterebbero enormi.
Mi accorgo per esempio che le fotografie cosiddette "familiari" sono quasi sempre a colori, ma non per una sorta di distacco ma solo per una forma di rispetto verso l'osservatore, non assimilandolo alla mia interpretazione personale, evitando così di "assecondarmi".
Ho delle immagini indelebili nella mia mente, quelle dell'infanzia, della prima adolescenza, quelle della guerra del Vietnam viste in tv e sono tutte in bianconero.
E' in bianconero il ricordo di mia madre...
Ringrazio Ciro per questa bella chiacchierata con me :-)
Ora tocca a voi...!
Ci rivediamo tra due settimane, sabato 14 aprile, con
Ora tocca a voi...!
Ci rivediamo tra due settimane, sabato 14 aprile, con
che bello leggerti.. è gioia vera.
Io nessuna domanda ho da fare a Ciro, posso solo dire che da quando son arrivata su fc nel 2009, che ho grande stima, perchè sono le sue fotografie a parlarmi
e raccontarmi storie, per me grande insegnamento.....grazie!
e sicomme sono una donna di poche parole....
Ciro!..piacere di averti conosciuto!:-)
e raccontarmi storie, per me grande insegnamento.....grazie!
e sicomme sono una donna di poche parole....
Ciro!..piacere di averti conosciuto!:-)
Con grande interesse ho letto tutto di un fiato la tua intervista Ciro e vorrei farti una domanda in merito alla tua autodefinizione di "fotografo umanista" che ho letto nel tuo profilo fino a qualche tempo fa.
Interessante dizione che sicuramente racchiude molto di te come uomo e come fotografo, ho naturalmente una mia idea in merito ma mi piacerebbe leggerti in proposito e sviluppare il tema!
buona domenica :-))
Interessante dizione che sicuramente racchiude molto di te come uomo e come fotografo, ho naturalmente una mia idea in merito ma mi piacerebbe leggerti in proposito e sviluppare il tema!
buona domenica :-))
quello che so, lo so dai tuoi occhi, da quello che vedono;
le cose più importanti che senti irrinunciabili sono tutte lì;
La tua famiglia ed una vita nuova altrove.
Tutti i tuoi ricordi appassionati raccontati, che non trasudano nostalgia ma solo una raggiunta consapevolezza in cui tutto il tuo percorso passato è servito all'oggi e tutto questo è ancora un passaggio per altro;
trasformare difficoltà e sofferenza in una nuova vita non è scontato, e come dice Maricla la tua è una fotografia matura forse proprio per questo.
Ci sono persone e/o fotografi con cui riesci a "scambiare a Parigi, così come un tempo a Napoli ?
la mia stima la conosci e come hai detto bene tu qualche giorno fa...guardo alle tue fotografie da tanto che sembra ieri :-)
le cose più importanti che senti irrinunciabili sono tutte lì;
La tua famiglia ed una vita nuova altrove.
Tutti i tuoi ricordi appassionati raccontati, che non trasudano nostalgia ma solo una raggiunta consapevolezza in cui tutto il tuo percorso passato è servito all'oggi e tutto questo è ancora un passaggio per altro;
trasformare difficoltà e sofferenza in una nuova vita non è scontato, e come dice Maricla la tua è una fotografia matura forse proprio per questo.
Ci sono persone e/o fotografi con cui riesci a "scambiare a Parigi, così come un tempo a Napoli ?
la mia stima la conosci e come hai detto bene tu qualche giorno fa...guardo alle tue fotografie da tanto che sembra ieri :-)
01.04.12, 11:43
Messaggio 10 di 63
la Francia, ma Parigi soprattutto, sono un tutt'uno con le immagini di HCB, di Ronis e di Doisneau.
a chi ti senti più vicino? alla narrazione del primo, alla poetica del secondo o alla quotidianeità del terzo?
non mi riferisco solo alla produzione ma al modo di intendere la fotografia
personalmente, ma questo mio apprezzamento che non vuol essere melliflua lusinga non c'entra molto, ritrengo il tuo scritto di grandissimo spessore.
riprendo il concetto di "umanista" per dire quanto sia differente cercare la fotografia umanistica ossia quella che ha per centro l'uomo da quella umanitaria in cui si crede che l'immagine possa essere stimolo permigliorare la condizione altrui... molti scambiano ilsignificato dei due termini, sbagliando
Messaggio Modificato (13:07)
a chi ti senti più vicino? alla narrazione del primo, alla poetica del secondo o alla quotidianeità del terzo?
non mi riferisco solo alla produzione ma al modo di intendere la fotografia
personalmente, ma questo mio apprezzamento che non vuol essere melliflua lusinga non c'entra molto, ritrengo il tuo scritto di grandissimo spessore.
riprendo il concetto di "umanista" per dire quanto sia differente cercare la fotografia umanistica ossia quella che ha per centro l'uomo da quella umanitaria in cui si crede che l'immagine possa essere stimolo permigliorare la condizione altrui... molti scambiano ilsignificato dei due termini, sbagliando
Messaggio Modificato (13:07)
@Fulvia
...il piacere e l'onore é stato tutto mio cara, e poi.....due é meglio di uno...e tu mi capirai...:-))))
...il piacere e l'onore é stato tutto mio cara, e poi.....due é meglio di uno...e tu mi capirai...:-))))
@Renato
Credo che avere uno stile per un fotografo sia fondamentale e sopratutto una meta da raggiungere. Il mio cercare,e "incontrare", in massima liberta' le fotografie che hanno protagonista l'uomo e il suo ambiente sono per me un grande calderone dove attingere sempre qualcosa. Le immagini di HCB,di Doisneau,del "fotografo di Parigi" Atget,di Ronis,di Brassaï sono per me una fonte di grande ispirazione,e ancora oggi "mi nutro" prepotentemente di questo "tesoro".
Forse oggi é un po anacronistico parlare di fotografia umanista,con la moltitudine di immagini che ci arrivano é sempre piu" difficile scinderne la definizione,ma personalmente i sentimenti che scaturiscono in ogni mia inquadratura fanno si di pensare a me stesso come fotografo umanista. Il mio errare in questa citta' mi pone in maniera empatica di fronte alle piu' semplici azioni, cerco di dare con chiarezza e immediatezza l'ambiente a me circostante, cerco di dare ad una geometria un equilibrio e una sintesi della mia intenzione, di un mio sentimento.
Una "pulsione" fotografica nasce da una riflessione e da una paziente attesa, esattamente quello che si dovrebbe fare rispetto all'umanita'.
E per ultimo,ma non in ordine di "apparizione", vivo nella citta' dei fotografi umanisti,quale occasione migliore.
Renato spero di essere stato chiaro, e di aver soddisfatto le tue intenzioni......grazie per la domanda.
Credo che avere uno stile per un fotografo sia fondamentale e sopratutto una meta da raggiungere. Il mio cercare,e "incontrare", in massima liberta' le fotografie che hanno protagonista l'uomo e il suo ambiente sono per me un grande calderone dove attingere sempre qualcosa. Le immagini di HCB,di Doisneau,del "fotografo di Parigi" Atget,di Ronis,di Brassaï sono per me una fonte di grande ispirazione,e ancora oggi "mi nutro" prepotentemente di questo "tesoro".
Forse oggi é un po anacronistico parlare di fotografia umanista,con la moltitudine di immagini che ci arrivano é sempre piu" difficile scinderne la definizione,ma personalmente i sentimenti che scaturiscono in ogni mia inquadratura fanno si di pensare a me stesso come fotografo umanista. Il mio errare in questa citta' mi pone in maniera empatica di fronte alle piu' semplici azioni, cerco di dare con chiarezza e immediatezza l'ambiente a me circostante, cerco di dare ad una geometria un equilibrio e una sintesi della mia intenzione, di un mio sentimento.
Una "pulsione" fotografica nasce da una riflessione e da una paziente attesa, esattamente quello che si dovrebbe fare rispetto all'umanita'.
E per ultimo,ma non in ordine di "apparizione", vivo nella citta' dei fotografi umanisti,quale occasione migliore.
Renato spero di essere stato chiaro, e di aver soddisfatto le tue intenzioni......grazie per la domanda.
@Monique
Tocchi un punto per me dolente mia cara.
Quello che mi manca di piu' di Napoli sono proprio le mie amicizie "fotografiche", le lunghe discussioni su argomenti comuni,le varie collaborazioni.
Quando facevo lo "stampatore" ho avuto la fortuna di essere anche "stampatore personale" di fotografi importanti sulla scena napoletana e questo mi poneva in un ruolo privilegiato e sopratutto fondamentale per la mia visione fotografica.
La capacita' di interpretare esattamente come il fotografo intendesse la sua immagine finale ti porta a essere in simbiosi con il suo modo di essere fotograficamente e le lunghe discussioni per capire le sue intenzioni mi facevano crescere in modo esponenziale, fotograficamente e perché no anche umanamente.
Ora gli unici scambi che riesco ad avere sono le gratidissime visite che ogni tanto fanno a Parigi gli amici conosciuti attraverso FC, e devo dire che ho conosciuto persone davvero speciali, e che alla mia eta' non proprio giovanissima si ha la sicurezza che saranno per sempre.
E questo mi rincuora.
Grazie per le tue belle parole......
Tocchi un punto per me dolente mia cara.
Quello che mi manca di piu' di Napoli sono proprio le mie amicizie "fotografiche", le lunghe discussioni su argomenti comuni,le varie collaborazioni.
Quando facevo lo "stampatore" ho avuto la fortuna di essere anche "stampatore personale" di fotografi importanti sulla scena napoletana e questo mi poneva in un ruolo privilegiato e sopratutto fondamentale per la mia visione fotografica.
La capacita' di interpretare esattamente come il fotografo intendesse la sua immagine finale ti porta a essere in simbiosi con il suo modo di essere fotograficamente e le lunghe discussioni per capire le sue intenzioni mi facevano crescere in modo esponenziale, fotograficamente e perché no anche umanamente.
Ora gli unici scambi che riesco ad avere sono le gratidissime visite che ogni tanto fanno a Parigi gli amici conosciuti attraverso FC, e devo dire che ho conosciuto persone davvero speciali, e che alla mia eta' non proprio giovanissima si ha la sicurezza che saranno per sempre.
E questo mi rincuora.
Grazie per le tue belle parole......
@Luca
Parte della risposta che posso darti é racchiusa nella risposta che ho dato a Renato,attingendo da questi fotografi ho una visione completa di quello che puo' essere il panorama "umanista".
Ma in cuor mio Renis resta il mio maestro ideale, la sua poetica del quotidiano resta per me una fondamentale guida nel mio perenne "incontro" alle fotografie che mi si presentano. Renis era un vero comunicatore che non ammetteva equivoci nei suoi messaggi,trasmetteva le proprie emozioni dinanzi alle situazioni, e io nel mio piccolo cerco di fare altrettanto,dando l'immediatezza della comunicazione,la spontaneita' dell'emozione.
Fai bene a sottolineare i due differenti stili,umanista e umanitaria, é fondamentale avere le idee chiare,ma credo che chi scrive in questa rubrica, spesso sempre gli stessi, abbia la consapevolezza di capire le differenze e faccio tesoro della stima che posso avere per voi,intellettualmente e umanamente.
Grazie Luca per il tuo interesse.....sempre gradite le tue impressioni...
Parte della risposta che posso darti é racchiusa nella risposta che ho dato a Renato,attingendo da questi fotografi ho una visione completa di quello che puo' essere il panorama "umanista".
Ma in cuor mio Renis resta il mio maestro ideale, la sua poetica del quotidiano resta per me una fondamentale guida nel mio perenne "incontro" alle fotografie che mi si presentano. Renis era un vero comunicatore che non ammetteva equivoci nei suoi messaggi,trasmetteva le proprie emozioni dinanzi alle situazioni, e io nel mio piccolo cerco di fare altrettanto,dando l'immediatezza della comunicazione,la spontaneita' dell'emozione.
Fai bene a sottolineare i due differenti stili,umanista e umanitaria, é fondamentale avere le idee chiare,ma credo che chi scrive in questa rubrica, spesso sempre gli stessi, abbia la consapevolezza di capire le differenze e faccio tesoro della stima che posso avere per voi,intellettualmente e umanamente.
Grazie Luca per il tuo interesse.....sempre gradite le tue impressioni...
bellissima la tua intervista...come bellissime le esperienze da te raccontate Ciro...
sia per ciò che riguarda Napoli...una descrizione che per molti versi mi ricorda avvenimenti simili della mia Palermo...sia per ciò che descrivi di Parigi...
...una tua serie che amo molto...è quella di Trouville...trovo ci sia qualcosa di magnificamente...sospeso...in quelle immagini...e poi adoro il tuo bn...soprattutto nelle tue immagini analogiche...ma non soltanto...
nessuna domanda (per ora)...solo un grazie per le tue bellissime immagini.
laura
sia per ciò che riguarda Napoli...una descrizione che per molti versi mi ricorda avvenimenti simili della mia Palermo...sia per ciò che descrivi di Parigi...
...una tua serie che amo molto...è quella di Trouville...trovo ci sia qualcosa di magnificamente...sospeso...in quelle immagini...e poi adoro il tuo bn...soprattutto nelle tue immagini analogiche...ma non soltanto...
nessuna domanda (per ora)...solo un grazie per le tue bellissime immagini.
laura